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Belluscone. Una storia siciliana - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 4 febbraio 2016 – Scheda n. 16 (964)

 

 

 

 

Belluscone

 

 

Una storia siciliana

 

 

Regia, soggetto e montaggio: Franco Maresco

 

Sceneggiatura: Franco Maresco, Claudia Uzzo.

Fotografia: Luca Bigazzi, Tommaso Lusena de Sarmiento, Irma Vecchio.

Musica: Erik (canzone “Vorrei conoscere Berlusconi”).

Scenografia: Cesare Inzerillo, Nicola Sferruzza.

 

Interpreti: Ciccio Mira, Tatti Sanguineti, Vittorio Ricciardi,

Salvatore De Castro “Erik”, Marcello Dell’Utri, Salvo Ficarra, Valentino Picone,

 Francesco Puma.

 

Produzione: Rean Mazzone per Ila Palma/Dream Film/Sicilia Consulenza/Frenesy Film Company.

Distribuzione: Parthénos.

Durata: 94’. Origine: Italia, 2014.

 

 

Franco Maresco

 

 

Nato a Palermo nel 1958, Franco Maresco sa fare molti mestieri del cinema: è regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore.

Ha lavorato, fino a pochi anni fa, in coppia con Daniele Ciprì. Il duo “Ciprì & Maresco” ha dato vita per molti anni a una famosa serie di brevi e meno brevi filmati sotto il titolo di Cinico tv. Erano partiti lavorando per una televisione locale di Palermo, poi sono arrivati a Rai Tre, sfornando una innumerevole quantità di interventi per Blob e per Fuori Orario. Per molti anni Cinico tv è stato, sulla tv pubblica, il luogo dell'anomalo e del perturbante, con una presenza continua e indimenticabile di personaggi da dannati della terra, confinati in paesaggi lunari, desertici e disastrati.

Nel 1995 C&M realizzano il loro primo film, Lo zio di Brooklyn (visto al Cineforum, come gli altri film della coppia), seguito da un’altra opera che fece scandalo, Totò che visse due volte (1998), poi sono venuti alcuni cortometraggi, Enzo, domani a Palermo! (1999) e Arruso (2000), quindi il film Il ritorno di Cagliostro (2003). Del 2004 è il film di montaggio Come inguaiammo il cinema italiano - La vera storia di Franco e Ciccio.

Dopo la rottura con Ciprì, che ha cominciato una carriera di regista in proprio, Franco Maresco ha continuato, in totale solitudine e superando infiniti ostacoli, il suo lavoro di regista isolato con il film, rimasto pressoché inedito, Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista di jazz (2010) e adesso con Belluscone. Una storia siciliana (2014), presentato alla Mostra di Venezia.

Sentiamo Maresco: «Ho vissuto questi ultimi anni in una sorta di estremo esilio, quindi non ho una percezione reale e concreta di quello che succede. Quando qualcuno mi ha detto che c’è molta attesa per il film, penso che sia una curiosità che viene appunto dal fatto che per molti è il ritorno di Franco Maresco dai tempi del sodalizio artistico con Ciprì, perché la maggior parte ignora che in mezzo c’è Tony Scott. Quel film non è stato distribuito e l’hanno visto veramente pochissimi, e questo mi dispiace perché in qualche modo immagino questo film su Berlusconi come la conclusione di una sorta di trilogia, che parte da Il ritorno di Cagliostro e passa per Tony Scott...

Essendo io una persona che soffre di depressione, di nevrosi, di un senso di inutilità delle cose (e del cinema in particolare), cui va aggiunta l’insofferenza e la sofferenza anche fisica, questo film, Belluscone, mi ha veramente stremato...

Io faccio un lavoro diverso da altri che vivono in continente, stanno nelle anticamere di chi conta, non si perdono le feste, le premiazioni, le occasioni ecc.: quello è un modo per stare sempre in giro e quindi per lavorare. Se stai in periferia, se sei periferico come lo sono io, e peraltro anche schivo, il problema è che è più difficile trovare occasioni. Mandi una sceneggiatura, e poi chissà...

Questo film è partito nella tarda primavera del 2011. Berlusconi era ancora al governo. Con il passo della cronaca e della quotidianità, del moltiplicarsi all’infinito delle notizie sembra una vita fa. Uscivamo da Tony Scott e soprattutto dalla deflagrazione, dalla débâcle, dal rovinoso epilogo di Cinico tv, che è stata una delle più importanti produzioni del Sud, quindi c’era la necessità di fare qualcosa di immediato e mai parole furono tutt’altro che profetiche. Sarebbe lungo raccontare tutta la storia, ma ad ogni modo venne l’occasione di fare questa cosa su Berlusconi, che doveva essere una specie di film lampo (e sono passati tre anni). La storia del film è questa, travagliatissima e molto sofferta. Ma il film di cui noi parliamo è venuto successivamente, cioè io a un certo punto inizio un primo film che era tutt’altra cosa, qualcosa che a ripensarci è il frutto di un uomo che doveva fare i conti col proprio lavoro, con la propria creatività, col passato recente piuttosto traumatico. Quindi c’è una prima partenza che dura alcuni mesi, e dopo, all’inizio del 2012, mi incontro con Ciccio Mira e ricomincio tutto da capo, facendo una cosa qui, una cosa lì, quando potevamo, soprattutto tormentando la vita di Ciccio Mira, che diventa una sorta di continuum: ci vediamo, ci rivediamo per almeno due anni e mezzo...

Non ho mai nascosto una verità: non mi trovo bene nel mio tempo. Non amo la mia contemporaneità, pur essendo consapevole di interpretarla bene, cioè di comprenderla: non è una visione reazionaria, antimoderna. Ho da sempre una specie di nostalgia dell’assoluto (come diceva quello), sin da piccolo, una specie di rifugio nel passato, e cerco sempre di recuperare stagioni che sono state apparentemente più felici o che comunque dal punto di vista emotivo, psicologico, mi possano dare un minimo di rassicurazione...

Mi interessava nascondere tra le pieghe di un’indignazione, di un film politico, i temi che mi sono più cari: la natura umana, il perdere sempre e comunque le partite con la vita. La mia riflessione, l’unico tema che continua a essermi caro è quello degli sconfitti, dei perdenti, mi interessa il senso del grottesco, l’ironia del destino».

 

 

La critica

 

 

(...) Cominciamo da un dato incontrovertibile. La scioglimento del sodalizio artistico di Daniele Ciprì e Franco Maresco ha consentito di distinguere con effetto retroattivo il braccio (Ciprì) dalla mente (Maresco) nel fitto universo visionario e sconcertante che ha provveduto a eleggere in maniera provocatoria gli ultimi, gli impresentabili e verosimili soggetti speculari, coerenti e paradossali di un’Italia davvero inguardabile e profondamente (in)civile.

Quello di Ciprì e Maresco, o più correttamente di Maresco e Ciprì, è stato un complesso, duraturo e articolato progetto audiovisivo, in cui si sono avvicendati, sovrapposti, intersecati, contaminati a vicenda programmi, cortometraggi, sketch, lungometraggi, documentari e docu-fiction. Un progetto decisamente strategico e isolato che dalla galleria televisiva di Cinico tv al film del congedo, Come inguaiammo il cinema italiano. La vera storia di Franco e Ciccio, passando per la determinante trilogia composta da Totò che visse due volte, Lo zio di Brooklyn e Il ritorno di Cagliostro, ha fatto insomma storia. Storia della televisione italiana degli ultimi vent’anni, di pari passo con la storia del cinema italiano. Sullo sfondo di un ventennio contrassegnato dal ruolo di primo piano giocato da Berlusconi su entrambi i fronti.

Ora che il gioco delle parti si è semplificato e il divorzio consensuale consumato, assegnando a Ciprì un ruolo preminente come direttore della fotografia, più che come regista, e a Maresco l’effettivo statuto autoriale, comprovato già da Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista di jazz, quindi dall’astutamente “incompiuto” Belluscone. Una storia siciliana, è possibile ragionare sui presupposti storico-politici di uno stile e di una concezione della realtà da sempre molto marcati e radicali nel giungere alle estreme conseguenze di ogni assunto discorsivo. Dove cioè la rigida e rigorosa frontalità nella messa in scena e in quadro, l’oscurità tragicomica e il ricorso costante ai contrasti accesi sono tutti sintomi di uno sguardo trasparente, spregiudicato e disincantato sulla mostruosità congenita, nemmeno poi tanto caricaturale, e sullo stato di crisi irreversibile dell’idea stessa, altamente rischiosa di creatività. (...)

Non è dunque un caso, quello che potremmo definire a ragion veduta il “caso” Maresco, che Belluscone. Una storia siciliana si presenti come film di risulta, in divenire, opera dichiaratamente aperta e ostentatamente irrisolta, ciò nonostante né scombinata né squilibrata. È di sicuro una scelta coerente, anche con la politica degli autori del cinema italiano, quella dell’ultimo film di Maresco: ricorrere alla forma mista onde poter con maggiore cognizione di causa elaborare un percorso di ricerca, di inchiesta, di veridizione di fatti noti e occulti, spesso indicibili o più appropriatamente impronunciabili, come la stessa parola “mafia”, divenuta oramai vocabolo di pura rendita politico-ideologica, a uso e consumo dei sempre più numerosi, maggioritari, benpensanti “professionisti dell’antimafia”, secondo l’appropriata, scomoda, lungimirante, ma un tempo impopolare e osteggiata definizione di Leonardo Sciascia. (...)

Il problema, nell’ottica di Maresco, va esaminato quasi a prescindere da Berlusconi. Occorre occuparsene scavando e mescolando tra la gente comune, il sottoproletariato di quartiere, tra le pieghe di un modello di comunità in cui le feste di piazza, i cantanti e gli organizzatori di eventi contano, e non poco. Il problema esiste da prima di Berlusconi, poi necessariamente ha assunto caratteri peculiari con Berlusconi, e va posto in vista del dopo Berlusconi. La scommessa è quella di saper guardare – a differenza del programmatico La trattativa della solita Sabina Guzzanti – ben oltre Berlusconi, cominciando con la categoria dello spettacolo. Questo induce Maresco a rendersi ancora una volta nel suo film “irreperibile”, introvabile come il testo di cui egli è più che mai l’artefice totale, a maggior ragione la pedina chiave. Di necessità “mancante” come la verità che negandosi trova una sua piena e coerente affermazione.

AAnton Giulio Mancino, Cineforum, n. 538, ottobre 2014

 

 

 

 

 

 

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Durata: 93 minuti.

 

Giovedì 11 febbraio

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