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Scheda pdf (180 KB)
La pecora nera - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALES.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 14 aprile 2011 – Scheda n. 24 (836)

 

 

 

 

 

 

La pecora nera

 

 

Regia: Ascanio Celestini

 

Sceneggiatura: Ascanio Celestini, Ugo Chiti, Wilma Labate,

dal libro “La pecora nera” di Ascanio Celestini.

Fotografia: Daniele Ciprì. Montaggio: Giogiò Franchini.

 

Interpreti: Ascanio Celestini (Ascanio), Giorgio Tirabassi (Nicola),

Maya Sansa (Marinella), Barbara Valmorin (nonna),

Luisa De Santis (suora), Nicola Rignanese (papà),

Adriano Pallotta (professore), Alessia Berardi (prostituta),

Teresa Saponangelo, Luigi Fedele.

 

Produzione: Madeleine. Distribuzione: Bim.

Durata: 93’. Origine: Italia, 2010.

 

 

 

 

 

Ascanio Celestini

 

«Mi chiamo Ascanio Celestini, figlio di Gaetano Celestini e Comin Piera. Mio padre rimette a posto i mobili, mobili vecchi o antichi; è nato al Quadraro e da ragazzino l’hanno portato a lavorare sotto padrone in bottega a San Lorenzo. Mia madre è di Tor Pignattara, da giovane faceva la parrucchiera da uno che aveva tagliato i capelli al re d’Italia e a quel tempo ballava il liscio». Così si presenta Ascanio Celestini, teatrante e narratore, nato a Roma nel 1972, dove ha cominciato presto a recitare in teatro. Primo spettacolo tutto suo è Cicoria. In fondo al mondo, Pasolini (1998). Poi viene la trilogia Milleuno. Nel 2002 riceve il Premio Ubu «per la capacità di cantare attraverso la cronaca la storia di oggi come mito e viceversa». Alcuni spettacoli sono diventati famosi: Scemo di guerra, Radio clandestina (sull’eccidio delle Fosse Ardeatine), Cecafumo, Fabbrica e La pecora nera, che ora ha trasferito in un film. L’attore Celestini in scena rappresenta se stesso: è qualcuno che racconta una storia. Nel 2007 ha girato il documentario Parole Sante sulle  vicende di un collettivo di lavoratori precari del più grande call center italiano situato a Cinecittà Due. Insieme al documentario è uscito il suo primo disco, anch’esso intitolato Parole sante, con le canzoni dei suoi spettacoli. Nel 2009 ha pubblicato il romanzo Lotta di Classe. Infine è arrivato il suo primo film, appunto La pecora nera, presentato alla Mostra di Venezia.

Celestini ha scritto un diario di lavorazione durante le riprese del film. Ne riportiamo qualche bellissimo brano. «Mercoledì 17 marzo, scena di Nicola che mangia i ragni. Arriva l’animalaro con due ragni. Uno grosso e l’altro enorme. Ragni tropicali che bisogna far lavorare subito se no si muoiono di freddo. Quello piccolo è grosso come la mano di un bambino. È un ragno nero che fa la ragnatela scavando nella sabbia. Luigi deve avvicinarsi alla bestia. Deve almeno riuscire a stargli accanto e magari anche a pizzicarlo con un bastoncino. Ma appena lo vede vuole toccarlo. Così mettiamo il ragno su una ragnatela finta e Luigi ci gioca davvero... Giovedì 18 marzo, Luigi è vestito da coniglio. Ieri sera ho pensato che ai ragazzini bisogna fargli fare qualcosa di concreto, non basta dire che giocano. Così mi faccio una lista di possibili giochi. La carriola, 4 cantoni, alfabeto muto, belle statuine, un due tre stella, mosca cieca, coi tappi di bottiglia a battimuro... A Rocco figlio di Peppe Servillo lo faccio andare appresso a Luigi facendo “vengo da gerusalemme senza ride e senza piagne”. È un gioco da ragazzini, ma consiste nel passare tra due file di bambini che cercano di farti ridere mentre tu agiti le braccia come un flagellante e cerchi di restare serio. Somiglia proprio a una cerimonia di battenti o flagellanti e anche a una punizione corporale da galera... Mercoledì 24 marzo, scena col cane frocio. Ma l’animalaro ha portato un cane che è una fregatura. Mi dice la Viscardi che i cani non devono mangiare prima della scena perché l’addestratore deve potergli far capire che avranno un premio per quello che fanno. Invece ‘sto cane ha appena mangiato e non c’ha nessuna intenzione di lavorare. Ci proviamo tre-quattro volte, ma ogni volta scappa dall’addestratore. Una fregatura. In questi giorni c’è stato attorno un cagnetto, un bastardino. Si chiama Max, ma Luigi lo chiama Fusillo. Luigi e gli altri ragazzi insistono che Fusillo faccia la parte del cane, ma la Viscardi dice che è meglio prendere l’animale addestrato, che però si è rivelato una sòla. Stranamente oggi Fusillo non s’è visto. Giulia e gli altri lo vanno a cercare. Il padrone l’ha chiuso da una parte per paura che venga morso dai cani pastori. Dice che un cane pastore gli ha quasi staccato la testa e lui era in dubbio se portarlo dal veterinario o sopprimerlo. Poi l’ha portato dal veterinario che gli ha messo più di 40 punti. L’ha portato in un locale caldaia per farlo stare caldo e pare che due gatti gli abbiano leccato le ferite per non farle infettare. La leggenda vuole che Fusillo vada in giro a cercare cibo da dividerlo coi gatti. Fatto sta che trovano Fusillo, arriva di corsa e gira la scena alla perfezione... “Io ho capito che ci stanno due tipi di amore. C’è l’amore per sempre e poi c’è l’amore di un attimo. È come quando casca la stella cadente”».

 

La critica

 

A conferma che i festival fanno male alla salute, siamo rimasti sorpresi dalle reazioni veneziane a La pecora nera, esordio nella regia cinematografica di Ascanio Celestini. Diversi recensori hanno rimarcato la natura «teatrale» del film (e qui ha sbagliato Ascanio: non doveva dirlo in giro, che La pecora nera è anche uno spettacolo teatrale, e nessuno se ne sarebbe accorto...). Dal canto suo, si dice che la giuria abbia per qualche istante pensato di premiarlo come attore, che sarebbe stata una scelta buffa: Celestini è un incredibile performer, una forte presenza scenica, ma è difficile pensarlo come «attore» in film altrui, alla fine fa sempre... Celestini, sia pur declinato nei vari personaggi modellati su se stesso. Proviamo quindi a far finta che Venezia non ci sia stata (non è difficile, dai!). Signore e signori, benvenuti al primo bellissimo film di Ascanio Celestini, autore teatrale musicale e radiofonico, attore e cantante, scrittore di romanzi, documentarista, custode della memoria romana e non solo, in una parola: cantastorie, nel senso più nobile del termine. Sì, Ascanio Celestini è un uomo che racconta delle storie, e il cinema era l’unico strumento che ancora non aveva utilizzato. Nello spettacolo al quale La pecora nera si ispira è in scena da solo, con pochissimi arredi e l’unica forza della sua voce e della sua faccia barbuta. Il film riprende fedelmente le situazioni dello spettacolo, non rinunciando alla voce fuori campo, ma le «apre» e le ambienta in periferie dal sapore pasoliniano e in un manicomio che restituisce tutto l’orrore dell’Istituzione con la «I» maiuscola. Nicola ci vive da quando è bambino, nel «manicomio elettrico» (ovvero, dove si pratica l’elettroshock). La pecora nera è la storia di come ci è arrivato e di come ha costruito, in questa via crucis, un modus vivendi che tutto sommato lo rassicura e gli permette di andare avanti. Il senso tragico della Pecora nera è proprio questo: come la chiesa e la famiglia e la caserma e tanti altri universi concentrazionari, il manicomio è rassicurante. La paura sta fuori. Per questo, nella barzelletta che apre il film, i matti in fuga scavalcano 99 cancelli e, arrivati al centesimo e ultimo, si stufano. E tornano indietro.

AAlberto Crespi, L'Unità, 1 ottobre 2010

 

I vecchi manicomi prima della legge Basaglia erano luoghi molto italiani, come le fabbriche degli anni Sessanta, «i favolosi anni Sessanta» direbbe il Nicola di Celestini, o le carceri dei giorni nostri. Per tante ragioni. Una di queste è che l’unica differenza fra custodi e custoditi risiede nell’uniforme. «Se si leva il camice diventa matto pure lui» dice un personaggio di La pecora nera di un infermiere. Ascanio Celestini da anni a teatro racconta la storia d’Italia dalla parte dei vinti. È una cosa proibita. La storia la debbono raccontare i vincitori, anche perché così viene molto più ordinata. Ascanio può violare la regola perché dispone della ricchezza di una lingua straordinaria, nobile e insieme popolare, è insomma un poeta. Per fare teatro è indispensabile una lingua nobile, per fare il cinema no. Quando Celestini ha annunciato di voler fare un film da La pecora nera, chi ha ammirato questo spettacolo memorabile, oggi in giro per l’Europa, aveva qualche dubbio. Invece aveva ragione lui. La pecora nera è un film imperfetto eppure molto bello. Forse non è neppure cinema, è un’altra cosa. Un documentario poetico, un bellissimo racconto per immagini. Una strada originale ed emozionante, come lo è stato il percorso teatrale di Celestini, all’incrocio fra film, teatro e narrativa pura. Il critico di Le Monde ha citato il Diario di un pazzo di Nikolaj Gogol, ma si potrebbe anche scomodare le novelle di Anton Cechov o di Garsin per descriverne l’anima letteraria russa. Eppure è un’opera modernissima, che parla di qui e dell’oggi. Nicola è un matto che non sa di esserlo, come i veri matti e anche le vere persone normali. Vive sul limite di questo confine e di tutti gli altri, dentro e fuori il manicomio, fra infanzia e vecchiaia, fra sé e gli altri, sul limitare di una città-non-città e una campagna altrettanto anonima, attraversando non luoghi di periferia, supermercati e garage e altri manicomi senza cancelli dove si consumano le tragedie della nostra epoca. È nato negli anni Sessanta, «i favolosi anni Sessanta», e non ha più voluto o potuto crescere, rinchiuso per destino nel «manicomio elettrico». Il gioco teatrale era di far identificare il pubblico col punto di vista di un pazzo. Il gioco filmico è di leggere attraverso lo sguardo di Nicola la parabola di un paese vittima di troppe illusioni e, alla fine, pure allucinazioni. La storia d’Italia dai favolosi anni Sessanta fino a oggi attraverso la biografia di un piccolo uomo mai neppure registrato all’anagrafe. Un’impresa assurda e straordinaria dove Celestini ha trovato la collaborazione felice di attori non soltanto bravi «ma pure intelligenti», come dice lui, da Maya Sansa a Giorgio Tirabassi a Nicola Rignanese, e la geniale fotografia di Daniele Ciprì.

CCurzio Maltese, La Repubblica, 2 ottobre 2010

 

 

 

 

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