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Away from Her - Lontano da lei - Scheda del film

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Giovedì 12 marzo 2009 – Scheda n. 20 (778)

 

Away from Her – Lontano da lei

 

Regia: Sara Polley

 

Titolo originale: Away from Her

 

Sceneggiatura: Sarah Polley, da un racconto di Alice Munro. Fotografia: Luc Montpellier.

Montaggio: David Wharnsby. Musiche: Jonathan Goldsmith.

 

Interpreti: Julie Christie (Fiona), Gordon Pinsent (Grant), Olympia Dukakis (Marian),

Murphy Aubrey (Michael), Kristen Thomson (Kristy),

Wendy Crewson (Madeleine), Alberta Watson (Dottor Fischer).

Produzione: The Film Farm. Distribuzione: Videa CDE.

Durata: 110’. Origine: Canada, 2007.

 

 

Sarah Polley

 

Canadese di Toronto, nata nel 1979, Sarah Polley è soprattutto attrice. L’abbiamo vista anche qui al cineforum in La vita segreta delle parole, l’intenso film della catalana Isabel Coixet. Altre sue interpretazioni in Dawn of the Dead, La mia vita senza di me e Il dolce domani di Atom Egoyan. Ha cominciato poi a dirigere cortometraggi e un primo film, All I Want for Christmas (2002). Sentiamola: «Sono stata due anni senza recitare pur di portare sullo schermo un racconto di Alice Munro, Il percorso dell’amore [in originale: The Bear Came over the Mountain; in Italia, i racconti della Munro sono editi da Einaudi]. Mi ha spaventato molto non recitare, perché è un lato della mia carriera in cui ho messo molto impegno, e due anni fuori dagli schermi possono tagliarti le gambe, ma sono stata ottimista e ho pensato che si potessero fare entrambe le cose in modo paritario... Il racconto della Munro mi affascinava perché narra di un amore incondizionato. Penso sia davvero qualcosa di più di una storia d’amore, quasi una specie di ordalia umana a settant’anni. I protagonisti scoprono se stessi e quello di cui sono capaci proprio alla fine della loro vita insieme. Per comprenderli meglio, dall’inizio delle riprese ho cercato di fare amicizia con persone della generazione dei miei nonni, ed è stato molto strano. Ho passato molto tempo nell’ospizio di mia nonna e ho letto tantissimi libri sull’Alzheimer, ma nulla è paragonabile ai mesi passati a parlare direttamente con le persone. Ho sempre avuto amici di età diverse, anche molto più grandi di me, come Julie Christie o Olympia Dukakis, ma comprendere davvero quello che può pensare un individuo di quell’età è stata una reale sfida... Non so se sarei riuscita a girare il film senza Julie: anche solo il volerla vedere recitare in questo ruolo è stato una spinta grandissima. È sempre dura convincerla a fare qualcosa, soprattutto quando si tratta di recitare, e mi chiedo ancora perché, alla fine, mi ha detto di sì. Il primo giorno delle prove ero stravolta e intimidita, anche se ci conosciamo da tanto: tutto d’un tratto mi sono resa conto che stavo facendo un film con lei e Olympia Dukakis. Una follia per una principiante!... Mi sento a disagio quando vedo un film dove la tragedia è al centro di tutta la storia e non ci sono mai vie d’uscita. Oliver Stone in questo, a mio parere, ha fatto un sacco di danni. Nei suoi film sembra che il mondo si fermi e stia a guardare solo quello che accade nella sua storia, mentre nella realtà la vita va avanti, le persone riescono a sopravvivere anche attraverso i sorrisi inattesi. Così, ho pensato che il mio pubblico avrebbe avuto bisogno di un momento di gioia per sopravvivere mentalmente alle emozioni forti della storia e per percepire che il mondo continua, nonostante tutto».

 

La critica

 

Attenzione! Se vi capita di lavare una padella e subito dopo metterla nel frigorifero, se avvertite il bisogno di applicare delle etichette sui cassetti per ricordare ciò che contengono, se uscite per una passeggiata e non ritrovate più la strada di casa... Nel film Away from Her - Lontano da lei questi e altri sono i prodromi del morbo destinato a ottenebrare la coscienza della protagonista Fiona (Julie Christie) con l’inesorabile progredire del morbo contrassegnato dal nome del suo scopritore, il neurologo tedesco Alois Alzheimer (1864 - 1915). Siamo in mezzo alla campagna innevata dell’Ontario e chi segue sempre più allarmato i lapsus della moglie è Grant, un professore in pensione che sembra ritagliato da un film di Bergman (è l’eccellente attore canadese Gordon Pinsent). Ben presto gli si presenta ineluttabile il ricovero della consorte in una clinica (le riprese sono avvenute fra gli ospiti veri del Freeport Health Center di Kitchener), dove il garbo dell’accoglienza al piano terra non nasconde l’inquietante probabilità di un’ascesa al «secondo piano» degli incurabili. È su scala ridotta la stessa metafora del racconto di Dino Buzzati «Sette piani», dal quale Ugo Tognazzi trasse il film «Il fischio al naso». Nelle 70 ispirate e toccanti intense paginette di Alice Munro adattate per lo schermo dalla regista Sarah Polley (anche entusiasta prefatrice della recente edizione Vintage) il caso clinico viene affrontato senza lacrime. Ci aspetta invece una sorpresa: dopo i rituali 30 giorni nei quali i malati per esigenze di ambientazione non devono ricevere visite, Grant arriva con i fiori in mano e scopre Fiona impegnata a pieno tempo come trepida badante di Aubrey (Michael Murphy), un compagno di sventura messo peggio di lei. Nell’osmosi delle rispettive nebbie mentali è nata una corrispondenza di amorosi sensi tanto esclusiva da suscitare nel legittimo consorte una paradossale gelosia. Però quando Aubrey viene portato via dalla moglie Marian (Olympia Dukakis) e Fiona precipita nella disperazione, Grant decide di andare in cerca del rivale per farlo tornare. Tutto ciò nel racconto avviene oltre la metà, mentre la Polley mette la situazione proprio all’inizio del film in contrappunto con i flashback. È una delle trovate di una sceneggiatura alla quale è stata attribuita, forse con un eccesso di generosità, un’ulteriore candidatura all’Oscar accanto a quella per Julie Christie (nominata quattro volte, di cui una vincente nel ’65 con Darling). Il tutto nel corso dell’assunzione a oggetto di culto di un piccolo film indipendente, passato attraverso il cursus honorum di vari festival e già onusto di premi. Per l’occasione assistiamo alla sorprendente rimonta di una diva presente sugli schermi da quasi mezzo secolo e definita da Al Pacino «la più poetica di tutte le attrici». Un entusiasmo non condiviso da tutti perché Julie ha spesso suscitato critiche feroci. Leggere per credere la voce che le dedica David Thomson nel suo dizionario biografico del cinema, una brutale stroncatura includente accuse di manierismo e scarsa sincerità. Per scoprire l’infondatezza di tali cattiverie basta tuttavia rivedere la Christie in Away from Her. Senza essere il capolavoro di cui si è parlato, questo film lindo e rispettabile ci regala un’interpretazione davvero straordinaria di colei che fu l’ispiratrice di Il dottor Zivago. Ancora bellissima benché in viaggio verso i settanta, Julie Christie non ricorre ai trucchi di mestiere che gli attori utilizzano nel rappresentare la malattia. A differenza del gran mattatore positivista Ermete Zacconi, che ricostruì la paralisi progressiva di Osvaldo negli Spettri frequentando gli ospedali, Julie cerca la dolente verità del personaggio dentro se stessa. In attesa di sapere se fra una settimana le daranno l’Oscar, non perdetevela.

TTullio Kezich, Il Corriere della Sera, 15 febbraio 2008

 

In questo splendido debutto alla regia, la giovane attrice canadese Sarah Polley (“Il dolce domani”, “La vita segreta delle parole”) racconta una storia d’amore e al tempo stesso la sua lenta e impietosa dissolvenza, a causa di una malattia che subdolamente si insinua tra i ricordi e gli affetti, fino a cancellarli. In una casa su un lago ghiacciato, circondata da boschi innevati, Fiona e Grant sono sposati da oltre quarant’anni; c’è un passato dietro di loro, un amore lungo e non sempre facile, fatto di passione, quotidianità, tradimenti anche, ricordi che talvolta affiorano in brevi flashback pieni di nostalgia. Ma il silenzio del paesaggio che li circonda calerà presto anche su di loro, sulla loro storia, su quello che loro stessi sono e significano l’uno per l’altra. ‘Sto per scomparire’: una frase secca, buttata lì da Fiona quasi con distrazione. Una malattia invisibile la fa scomparire lentamente, cominciando da una padella riposta per errore in frigorifero, una parola che non viene, un dettaglio dimenticato. E se tutto questo non bastasse a segnalare quel senso di perdita che sta per travolgere Fiona e Grant, a contribuire è la bellezza elegante e struggente di Julie Christie, morbidamente illuminata da Luc Montpellier, la sua vulnerabilità dietro la forza dell’ironia, un’icona che torna a ricordarci la swinging London e i bei tempi passati. Fiona si sente scivolare via, decide di entrare in una casa di cura, ormai non può più restare a casa, la memoria l’abbandona troppo spesso. E Grant la guarda scomparire con noi, vede i suoi ricordi e il suo amore per lui allontanarsi, la vede innamorarsi di un altro uomo, Aubrey, anche lui ospite della clinica. L’Alzheimer non distrugge solo chi ne è colpito, ma distrugge anche (e soprattutto, sembra suggerire il film) chi gli è vicino. Questo è il senso di “Away from her”, tratto dal racconto ‘The bear came over the mountain’ di Alice Munro e costruito sulla forza dei personaggi, e se Julie Christie (vincitrice del Globo d’oro) è brava e bellissima, il film è però tutto in mano allo straordinario Gordon Pinsent. È attraverso i suoi occhi che guardiamo Fiona, è attraverso la sua lacerazione interiore che viviamo la perdita della memoria di lei, e la ricerca da parte di lui di un sostegno nella moglie di Aubrey, un’energica Olympia Dukakis. È attraverso la voce di Pinsent che avvertiamo l’inevitabile disintegrazione delle loro vite. La regia della Polley è semplice e diretta, senza artifici narrativi o stilistici, e in questo forse più efficace di film simili per argomento come “lris” e “The notebook”. Il passo lento e lieve scelto dalla regista per il film ci accompagna dentro i personaggi, e la luce abbagliante dell’inverno canadese rende più difficile per i personaggi accettare la perdita, e per noi trattenere le emozioni.

CChiara Barbo, Vivilcinema, gennaio 2008

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