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Scheda del film (177 Kb)
Ex machina - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 24 marzo 2016 – Scheda n. 23 (971)

 

 

 

 

 

Ex Machina

 

 

 

Regia e sceneggiatura: Alex Garland

 

Fotografia: Rob Hardy. Montaggio: Mark Day.

Musica: Geoff Barrow, Ben Salisbury. Scenografia: Mark Digby.

Costumi: Sammy Sheldon Differ.

 

Interpreti: Domhnall Gleason (Caleb Smith), Alicia Vikander (Ava),

Sonoya Mizuno (Kyoko), Oscar Isaac (Nathan Bateman),

Corey Johnson (Jay), Claire Shelby (Lily),

Symara A. Templeman (Jasmine).

 

Produzione: DNA Films, Film4. Distribuzione: Universal.

Durata: 108’. Origine: Gran Bretagna, 2015.

 

 

 

Alex Garland

 

 

Nato a Londra nel 1970, Alex Garland è scrittore e sceneggiatore:  questo Ex Machina è il suo esordio come regista. È figlio di Nick Garland, vignettista e disegnatore di fumetti. Ha studiato storia dell’arte a Manchester e per un po’ ha lavorato anche lui come fumettista. Nel 1996 è uscito il suo primo romanzo, The Beach, da cui è stato tratto il film diretto da Danny Boyle con Leonardo DiCaprio. Il libro ha venduto milioni di copie ed è diventato un cult tra i viaggiatori “backpacker”, quelli con lo zaino in spalla. Nel 1997 ha pubblicato un secondo romanzo, The Tesseract (in Italia intitolato Black Dog), da cui è stato tratto il film omonimo di Oxide Pang. Nel 2001 ha sceneggiato l’horror 28 giorni dopo di Danny Boyle. Nel 2004 esce il romanzo, The Coma. Nel 2006 sceneggia il fantascientifico Sunshine, sempre per Danny Boyle. Nel 2015 scrive e dirige questo Ex Machina, film per il quale riceve la nomination all’Oscar per la migliore sceneggiatura originale.

Sentiamo Garland: «Il film parla di tre persone che mettono a confronto i loro cervelli, si mettano reciprocamente alla prova, tentano di sconfiggersi l’un l’altro mentalmente e formano alleanze uno con l’altro. Ma se uno dei protagonisti è una ragazza robot, le cose si fanno un po’ più complicate. Ex Machina lavora su due livelli. Uno è quello del genere, il thriller psicologico, e l’altro è usare i personaggi per esplorare temi umani e psicologici fondamentali...

La gente è paranoica nei confronti dell’intelligenza artificiale e dei computer in generale. Io mi avvicino a questa questione da un’angolazione leggermente diversa perché non ho paranoie al riguardo. In Ex Machina la mia simpatia va al robot... Cosa succede se inventiamo una macchina capace di pensare come noi, ma che non si ammala mai ed è capace di rimanere sempre al top? A me sembra che piuttosto velocemente comincerebbe ad esserci un qualche tipo di sostituzione: a un certo punto noi diventiamo superflui, e la domanda è se questa è una cosa buona o no. Io mi trovo stranamente solidale con le macchine, credo che per il futuro abbiano più chance di noi...

Quando Caleb arriva nella villa laboratorio in montagna, scopre di essere stato chiamato per interagire con una nuova forma di intelligenza artificiale, ospitata nel corpo di una ragazza robot, Ava. Caleb è lì per fare un test di Turing, test in cui un essere umano interagisce con un computer, e se l’essere umano non capisce che sta interagendo con un computer – e lo scambia per un altro essere umano – allora il test viene superato. Caleb non ha idea di cosa lo aspetta in quella casa quando da una delle stanze esce una sorta di figura umanoide con il volto da ragazza, ma fatta della più sorprendente meccanica che lui abbia mai visto. Il test di Turing è apparentemente semplice e di solito viene eseguito in modo che la persona che lo affronta non sa se sia o no un computer a risponderle. Nonostante i titoloni che annunciano, di tanto in tanto, che qualcuno lo ha superato, a un esame più minuzioso, pochissimi reggono. Il test di Turing è stato messo a punto decenni fa, alla nascita dei computer, quando Alan Turing capì che a un certo punto le macchine sulle quali stavano lavorando sarebbero potute diventare pensanti, e non solo calcolatrici. Capì che sarebbe stato difficile sapere se una cosa stesse veramente pensando o solo facendo finta di pensare...

Ava è diversa. Nathan, lo scienziato che l’ha costruita, ha una grande fiducia nelle capacità del suo robot, una fiducia talmente grande che lui porta Caleb a incontrare Ava senza cercare di nascondere il fatto che lei è un robot. Se Caleb può venire ingannato da quella che è ovviamente una macchina – con parti del corpo metalliche, servomeccanismi e motori – allora Ava rappresenta il punto più alto dell’intelligenza artificiale? Può veramente essere in grado di pensare, e non solo di calcolare?...

Penso che la fantascienza sia al suo meglio quando è saldamente ancorata alla scienza. L’idea di costruire un’intelligenza artificiale ha intrigato e impegnato scienziati e tecnici dagli albori dell’era del computer e, per me, è un tema ideale da esplorare. Viviamo in un mondo in cui i computer sono fondamentali per la nostra esistenza e in cui i progressi nelle tecnologie hanno incredibilmente accelerato il ritmo. La questione interessante è dove finisce tutto questo e cosa significa per noi. Ad un certo punto le macchine penseranno nello stesso modo in cui pensiamo noi. Diventeremo forse superflui? La creazione da parte dell’uomo di un robot dotato di intelligenza artificiale getta le fondamenta non necessariamente per la nostra distruzione, ma per la nostra evoluzione verso un altro stato dell’essere. Ava non è semplicemente un robot determinato a distruggere l’uomo, quanto piuttosto qualcosa che potremmo vedere come umana. Visto che il mio approccio è dalla parte delle macchine, in senso lato, dovevo ospitare Ava – l’idea della coscienza di questa macchina – in qualcosa, in un ‘corpo’ di cui la gente potesse innamorarsi. Il protagonista deve innamorarsi di lei per far funzionare la storia».

 

 

La critica

 

 

Caleb è un giovane programmatore di Bluebook, il più grande motore di ricerca del mondo. Un giorno, apparentemente per caso, vince una lotteria aziendale il cui premio è la permanenza di una settimana nell’inaccessibile villa-eremo dell’ideatore e fondatore della società, il lunatico e geniale Nathan. Lì scopre che il suo soggiorno ha uno scopo: effettuare un test di Turing – una prova per determinare se una macchina sia autonomamente in grado di pensare e generare emozioni non prestabilite – all’ultima invenzione di Nathan, un robot-donna di nome Ava (Alicia Vikander). Le sessioni con la macchina – volto femminile, cranio e ventre trasparenti e illuminati, un busto puntinato a metà tra una muta da immersione e un dipinto di Lichtenstein virato seppia – prendono una piega inaspettata e le certezze di Caleb vacillano, facendogli sembrare l’esperimento scientifico un inumano gioco al massacro. Qual è la vera ragione per cui Caleb è stato convocato? Quali sono le motivazioni che spingono Nathan a una glaciale crudeltà verso la sua creatura? E, soprattutto, Ava possiede realmente una coscienza di sé, della propria finitezza e vulnerabilità, del pericolo di essere terminata una volta divenuta obsoleta?

Alex Garland, scrittore e sceneggiatore britannico che ha reinventato per Danny Boyle pulsioni di sci-fi apocalittica in 28 giorni dopo e Sunshine e ha tradotto per lo schermo le inquietudini eugenetiche del romanzo di Kazuo Ishiguro nel magnifico Non lasciarmi di Mark Romanek, costruisce con Ex Machina un kammerspiel, un testo di teatro da camera, futuribile, in cui gli eterni interrogativi della fantascienza robotica – la capacità di sentire (di amare?) di un essere sintetico – si mescolano a riflessioni non banali sulla natura istintuale e creativa della ricerca scientifica, spiegata attraverso l’arte di Jackson Pollock.

La messa in scena di Garland è geometrica e apparentemente asettica ma nasconde un fremito continuo, un febbrile nervosismo arricchito da suggestioni prese in prestito da differenti generi cinematografici. La casa-bunker piena di superfici lucide, claustrofobica nella sua immersione isolata in una natura-guscio, ricorda quella che era il teatro di intrighi triangolari nel thriller L’uomo nell’ombra di Roman Polanski. L’accesso limitato alle stanze del novizio Caleb occhieggia al noir classico Dietro la porta chiusa di Fritz Lang. L’ansia crescente degli interrogatori-confessione tra Ava e Caleb genera pulsioni ai confini dell’horror. Non mancano venature mélo e un inaspettato balletto con toni da commedia acida. Ma se ai generi cinematografici Garland sembra guardare con creativa compulsione è sui generi sessuali che si gioca la partita principale. È vero, come scrive Pier Maria Bocchi, che Ex Machina «non è una questione di intelligenza artificiale. E neanche di relazione fra umano e non umano. È un problema di sesso». La pulsione tutta fisica muta infatti in gioco di potere (e di mistificazione) tra ruoli rigidamente codificati.

Nathan e Caleb – due nomi biblici, le cui radici ebraiche rimandano a valori ben definiti e simbolici: rispettivamente “egli ha dato”, dio-creatore con cranio rasato e barba folta da imam tecnocratico, e “simile a un cane”, servo fedele dallo sguardo languido e faccia predisposta alla manipolazione – impersonano due tipologie, contrapposte e complementari, di come il maschio dominante interpreta l’eterno femminino. Il bisogno di controllo e di dominio del primo si specchia nel servilismo pronto alla seduzione del secondo. A entrambi Ava deve contrapporsi per costruire un’identità, ipoteticamente codificata in quanto macchina predisposta – programmata – a compiacere le fantasie del maschio. Come i giovani di Non lasciarmi, destinati a una vita a termine, Ava immagina una ribellione che forse questa volta sarà possibile. La fuga dal giardino-prigione dell’Eden potrebbe dare vita a una nuova specie/sesso, libera finalmente dalle costrizioni reclusive di un immaginario retrogrado. Una reinventata femme fatale capace di affrancarsi e di rinascere grazie al fallimento presuntuoso del dio-maschio che l’ha creata.

FFederico Pedroni, Cineforum, n. 547, agosto – settembre 2015

 

 

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Viviane

 

 

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Ronit e Shlomi Elkabetz

 

 

 

 

In Israele non esiste il matrimonio civile, c'è solo quello religioso, e quindi il divorzio (che esiste) può essere ratificato solo da un tribunale rabbinico, che ha bisogno però del pieno consenso del marito.

Viviane chiede un divorzio che il marito non è intenzionato a concederle. Siamo nell'aula del tribunale rabbinico, ascoltiamo lei e lui, i testimoni, i rabbini, il processo avanza di rinvio in rinvio.

Il film è diretto da Ronit Elkabetz, che interpreta anche Viviane, insieme al fratello Shlomi. Un forte e commovente ritratto di tenacia femminile. La libertà e la dignità di una donna contro l’ortodossia religiosa. Regia puntigliosa, precisa fin nei particolari: notare le scarpe di Viviane...

Durata: 108 minuti.

 

Giovedì 31 febbraio

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