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Due giorni, una notte - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 3 marzo 2016 – Scheda n. 20 (968)

 

 

 

 

 

 

Due giorni, una notte

 

 

 

Titolo originale: Deux jours et une nuit

 

Regia e sceneggiatura: Jean-Pierre e Luc Dardenne

 

Fotografia: Alain Marcoen. Montaggio: Marie-Hélène Dozo.

 

Interpreti: Marion Cotillard (Sandra), Fabrizio Rongione (Manu),

Pili Groyne (Estelle), Catherine Salée (Juliette),

Simon Caudry (Maxime), Baptiste Sornin (il signor Dumont),

Myriem Akheddiou (Mireille), Alain Eloy (Willy),

Fabienne Sciascia (Nadine), Hicham Slaoui (Hicham),

Timur Magomedgadzhiev (Timur), Olivier Gourmet (Jean-Marc).

 

Produzione: Les Films du Fleuve, Archipel 35, Bim. Distribuzione: Bim.

Durata: 95’. Origine: Belgio, 2014.

 

 

Jean-Pierre e Luc Dardenne

 

 

I due fratelli Dardenne sono nati vicino a Liegi, Jean-Pierre a Engis, nel 1951 e Luc ad Awirs, nel 1954. Jean-Pierre ha seguito studi di arte drammatica, mentre Luc si è laureato in filosofia. Hanno cominciato come documentaristi: Le chant du rossignol (1978), Lorsque le bateau de Léon descendit la Meuse pour la première fois (1979), Pour que la guerre s’achève, les murs devaient s’écrouler (1980), R... ne répond plus (1981), Leçons d’une université volante (1982), Regarde Jonathan/Jean Louvet, son œuvre (1983), Il court... il court le monde (1987). Il loro primo film a soggetto è Falsch (1987), seguito da Je pense à vous (1992). Fondano una loro casa di produzione, Les films du fleuve, nel 1994: e il film che li rivela a tutto il pubblico e ai critici è La promesse (1996) dove è ben riconoscibile il loro stile lontano da tentazioni spettacolari, attratto dalla presenza dei corpi e degli oggetti. Tre anni dopo, con Rosetta vincono la Palma d’oro al Festival di Cannes. La loro carriera procede sempre con film legati al mondo della gente comune: Le fils (2002), L’enfant (2005), anche questo premiato con la Palma d’oro a Cannes, Il matrimonio di Lorna (2008), Il ragazzo con la bicicletta (2011) e infine questo Due giorni, una notte.

Sentiamo i due registi: «Il film è nato dentro la crisi economica e sociale in cui versa attualmente l’Europa. Erano diversi anni che riflettevamo sull’idea di un film attorno a una persona che sta per essere licenziata con il consenso della maggior parte dei suoi colleghi di lavoro. E la storia di Due giorni, una notte è di fatto venuta alla luce quando abbiamo immaginato Sandra e Manu, una coppia unita nell’affrontare le avversità. Per noi la cosa più importante era mostrare una persona che viene esclusa perché è considerata debole, non in grado di fornire prestazioni sufficientemente elevate. Il film tesse l’elogio di una “non performante” che ritrova forza e coraggio grazie alla battaglia che decide di condurre con suo marito. I colleghi di Sandra hanno votato a favore di una riduzione del personale e del suo licenziamento in cambio della garanzia di ricevere un bonus. Ci erano giunte voci di fatti di cronaca analoghi nel mondo del lavoro. Ogni giorno, in Belgio come in altri paesi, sentiamo parlare dell’ossessione per la prestazione nel lavoro e della violenta istigazione alla competizione tra i dipendenti. Manu, il marito di Sandra, è una figura decisiva: è lui che la spinge ad andare a trovare, durante un fine settimana, ciascuno dei suoi colleghi per persuaderli a riconsiderare il proprio voto consentendole di essere reintegrata all’interno dell’azienda. Manu è un po’ come il sindacalista, il “coach” di Sandra. Riesce a convincerla che esiste una possibilità, che è in grado di far cambiare idea ai suoi colleghi. Non volevamo che Sandra apparisse come una vittima che stigmatizza e denuncia i colleghi che hanno votato contro di lei. Non è una lotta di una povera ragazza contro un branco di carogne! Gli operai di Due giorni, una notte sono messi in una posizione di concorrenza e rivalità permanenti. Non si tratta di schierare i buoni su un fronte e i cattivi sull’altro. Non ci ha mai interessato guardare il mondo in questi termini.

Un film non è un tribunale. Ciascuno dei colleghi di Sandra ha dei validi motivi per dirle “sì” e per dirle “no”. Una cosa è certa: per nessuno di loro il premio di produzione è un lusso. Hanno tutti bisogno di quei soldi per pagare l’affitto, le bollette, eccetera. Sandra lo capisce fin troppo bene, visto che anche lei si dibatte nelle stesse difficoltà economiche...

Sandra vive in una famiglia molto unita, trae il suo coraggio dal rapporto che ha con il marito. Manu ama profondamente sua moglie, lotta contro la depressione di lei e l’aiuta a smettere di avere paura. All’inizio del film, Manu crede in Sandra più di quanto lei creda in se stessa. Anche i figli di Sandra e Manu sono coinvolti e partecipi. Aiutano i genitori a trovare gli indirizzi dei colleghi di Sandra...

Abbiamo volutamente scelto un’azienda di piccole dimensioni in cui i dipendenti non sono abbastanza numerosi per avere una rappresentanza sindacale. Se il film avesse raccontato una lotta contro un nemico designato, sarebbe stato completamente diverso. Detto questo, emerge in modo chiaro che l’assenza di una reazione collettiva, di una forma di lotta contro il principio alla base di questa votazione dipende anche dalla mancanza di solidarietà tipica dei giorni nostri...

Parlavamo di questo soggetto da una decina di anni, quindi abbiamo avuto tutto il tempo per prepararci. La fase della scrittura è stata piuttosto rapida. Abbiamo iniziato a costruire la sceneggiatura nell’ottobre del 2012 e l’abbiamo ultimata nel marzo del 2013. Volevamo che l’azione si sviluppasse in un arco di tempo molto breve, come indica il titolo. L’urgenza imposta dalla scansione temporale doveva riflettersi nel ritmo del film...

Lavoriamo molto con gli attori. Per un mese, abbiamo fatto con loro delle prove filmate. E prima ancora, per due mesi, Luc e io abbiamo preparato le riprese nei luoghi dove si sarebbero svolte, filmando con la nostra videocamera. Prima di iniziare le riprese, questa fase delle prove è necessaria per trovare i ritmi e anche per creare un clima di fiducia totale con gli attori per poi riuscire ad azzardare le cose più semplici».

 

 

La critica

 

 

Due giorni, una notte è uscito a metà novembre (2014) per un totale di dieci sale in tutta Italia e ha riscosso da subito ottimi incassi. La seconda settimana il numero di sale era salito a centododici. Evidentemente, il pubblico l’ha apprezzato e, grazie al passaparola, ha reclamato con le presenze una distribuzione più ampia. Una piccola vittoria dal basso, come i protagonisti di tutti i film dei Dardenne, persone normali che si battono per la sopravvivenza quotidiana. Presenze reali e non proiezioni di attori, con cui gli spettatori possono condividere qualcosa e porsi delle domande.

Volontariamente incanalati sul solco del Neorealismo ma con meno enfasi melodrammatica, Jean-Pierre e Luc Dardenne sono maestri nel mettere in scena le difficoltà dei nostri tempi, e ancora di più nello scrivere le sceneggiature dei propri film. Soltanto loro sono capaci di raccontare un susseguirsi di semplici momenti quotidiani che avvince con pathos gli spettatori fino all’ultimo fotogramma.

Magnificamente interpretato da Marion Cotillard, nel ruolo di Sandra, e da Fabrizio Rongione, nel ruolo del marito Manu, Due giorni, una notte ci tiene con il fiato sospeso fino all’ultimo: riuscirà la nostra protagonista a riavere il suo lavoro di operaia? Attraverso la storia di Sandra, il film racconta il momento di crisi che l’intera Europa sta attraversando e ci parla di noi, di un momento difficile e di come si possano affrontare e superare le avversità.

Sandra è rimasta a casa dal lavoro due mesi per una forma di depressione e, quando è il momento di rientrare, viene messa in condizione di sentirsi un esubero. Come se il suo posto di lavoro non le appartenesse più e lei ne avesse perso il diritto. In sua assenza è avvenuta una votazione, proposta dal capo reparto dello stabilimento, il cui esito rivela come la maggioranza dei suoi sedici colleghi preferisca mettere le mani su un bonus da mille euro invece di reintegrarla. Oggi, mille euro sono il prezzo della vita di un uomo. È una guerra tra poveri che si reitera in tutti i film dei Dardenne, senza vincitori, né vinti. Perché la sconfitta vera è la rinuncia a lottare, e i protagonisti delle opere precedenti dei due registi belgi sono come piccoli animaletti che seguono l’istinto di sopravvivenza, vanno sempre avanti. Non si fermano a pensare, si muovono. Anche sconsideratamente, ma sono sempre proiettati oltre. Oltre la situazione contingente, oltre i principi morali, oltre i bordi dell’inquadratura, tanto che si avverte l’intensa presenza della macchina da presa che si adatta alla frenesia dei loro spostamenti. (...)

La macchina da presa sembra costruire l’immagine con più delicatezza, si accosta al personaggio quasi in punta di piedi, attenta alla sensibilità e all’emotività della donna. Anche durante il primo colloquio di Sandra con un suo collega, che avviene al telefono, la camera resta un passo indietro, la osserva, mentre lei prega il suo interlocutore di attenderla un secondo e, allontanando il cellulare, cerca di sedare l’attacco d’ansia per poi riprendere la telefonata interrotta. L’inquadratura sembra trattenere il fiato, rispettare i tempi e le esitazioni di Sandra. (...)

Per l’estetica del racconto era necessario che la camera esprimesse un sentimento di compassione solidale. Non pietà, commiserazione, pena. Piuttosto, una prossimità accogliente, un invito allo spettatore a mettersi nei panni del personaggio e a chiedersi cosa farebbe al suo posto. (...)

Il corpo di Sandra è come piegato in due dalle asperità della vita eppure, a mano a mano che procede nel percorso sostenuta da suo marito Manu, si raddrizza fino ad aprirsi in un sorriso nella scena conclusiva. Lei, che in un momento di sconforto dice di essere niente, arriverà infine a ricomporsi in un tutto, di nuovo un’integrità.

TTina Porcelli, Cineforum, n. 540, dicembre 2014

 

 

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Sils Maria

 

 

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Olivier Assayas è un regista che sa combinare profondità e limpidezza, chiarezza e pensiero.

Sils Maria è un paese svizzero, in Engadina, poco lontano da St. Moritz e dal confine con l’Italia. Si trovano qui Maria, attrice dalla lunga carriera (Juliette Binoche), la sua giovane assistente Valentine (Kristen Stewart) e la giovane e spregiudicata star hollywoodiana Jo-Ann (Chloë Grace Moretz).

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Durata: 124’.

 

Giovedì 10 marzo

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