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Ammore e malavita - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna


PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO

Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
 

 

 

Giovedì 28 febbraio 2019 – Scheda n. 18 (1047)

 

 

 

 

Ammore e malavita

 

 

 

Regia: Manetti Bros. (Antonio e Marco)

 

Sceneggiatura: A. e M. Manetti, Michelangelo La Neve

Fotografia: Francesca Amitrano. Musica: Pivio, Aldo De Scalzi.

 

Interpreti: Giampaolo Morelli (Ciro), Serena Rossi (Fatima),

Claudia Gerini (Donna Maria), Carlo Buccirosso (Don Vincenzo),

Raiz (Rosario), Franco Ricciardi (Gennaro),

Antonio Buonomo (zio Mimmo).

 

Produzione: Madeleine. Distribuzione: 01 Distribution.

Durata: 124’. Origine: Italia, 2017.

 

 

I Manetti Bros

 

 

Antonio e Marco sono fratelli. Sono ormai per tutti la premiata ditta Manetti Bros. Antonio è nato nel 1970; Marco è il primogenito, nato nel 1968; tutti e due a Roma. Debuttano nel 1995 con Consegna a domicilio, episodio del film horror a episodi DeGenerazione. Nel 2000 esce Zora la vampira, versione contemporanea del mito del vampiro, con Carlo Verdone e Micaela Ramazzotti, al quale seguono Piano 17, un thriller molto nero (con Giampaolo Morelli), Paura 3D (con Francesca Cuttica e Peppe Servillo) e L’arrivo di Wang, un thriller postmoderno (con Francesca Cuttica ed Ennio Fantastichini). Nel 2013 arrivano al successo e al riconoscimento generale con Song ’e Napule, applaudito al cineforum. Lavorano anche in tv: ben conosciuta è la serie dell’ispettore Coliandro. Hanno anche girato moltissimi videoclip per cantanti e gruppi, in particolare napoletani. E la musica in tutti i loro lavori ha una parte fondamentale e una funzione precisa.

Queste alcune dichiarazioni dei fratelli: «Quando facciamo un film ci buttiamo come fosse un salto ad occhi bendati. Senza pensare a quello che abbiamo fatto prima né alle conseguenze. Scegliamo una storia con l’istinto e ci saltiamo dentro. Spesso l’istinto ci porta su strade poco percorse, senza tracce da seguire, e quindi non ci resta che lavorare con la fantasia. Questa incoscienza è stato il motore che ci ha portato fino ad Ammore e malavita. Se un killer della camorra deve uccidere una donna e riconosce in lei l’amore della sua adolescenza parliamo d’amore o di malavita? Ecco siamo partiti di qui e poi la storia ci è venuta dietro, quasi da sola. Le canzoni accompagnano i momenti fondamentali ed emotivamente più forti della storia: si canta quando due personaggi stanno per baciarsi, ma anche durante una sparatoria. Il musical ci ha permesso di andare sopra le righe affrontando temi profondi ed importanti, come l’amore e la morte, mantenendo un tono leggero e spettacolare. Non puntiamo al realismo, ma alla verosimiglianza. Per credere in quello che raccontiamo ci piace prendere dei personaggi veri, che abbiamo incontrato nella vita reale, per incastonarli nella cornice fantasiosa di una storia esagerata. La città di Napoli è stata la nostra ispirazione e una personale rivisitazione della sua forma artistica più densa e popolare, la sceneggiata, il risultato. Però, sia chiaro, il messaggio del film non è: “A Napoli succede questo”. Quello che succede, succede solo nella nostra storia. La nostra Napoli non è solamente la città cupa e disperata che si racconta ultimamente al cinema o in tv, ma anche una Napoli che, malgrado tutti i problemi, stimola con il suo fermento culturale e ispira con la sua carica di umanità. Ogni volta che ci torniamo ci è inevitabile sorridere. Quale che sia il nostro stato d’animo. Un potere ineguagliabile...

La ‘malavita’ del titolo è solo un pretesto per narrare una bella storia di amore e riscatto piena di risate, proiettili e inseguimenti. La parola gangster movie fa pensare ad un film cupo, sociale che vuole raccontare la realtà della camorra. In questo caso invece è una crime story di puro intrattenimento. Scordatevi il clima cupo di Gomorra o la violenza a tratti angosciante di Suburra. Nella nostra Napoli c’è il sole, i colori caldi, la bellezza di una città che sa amare e divertire. Il nostro film è diverso da La La Land che è stato presentato a Venezia quando noi avevamo appena terminato le riprese. Ci hanno fatto tante domande sulla somiglianza o meno delle due pellicole ma noi non siamo affatto competitivi, a noi basta andare bene, non ci interessa andare meglio degli altri. A Venezia Ammore e Malavita è stato accolto da applausi e risate. E meno male perché quando siamo arrivati là eravamo terrorizzati...

Volevamo raccontare e trasmettere agli spettatori il senso di bellezza che trasuda dalla città di Napoli. C’è un grande rispetto per l’arte e per la cultura...

Ci piacerebbe fare un film sul calcio. Sarebbe bello poterlo realizzare, in Italia sarebbe una bomba. È però molto difficile da realizzare tanto che i produttori e i distributori si spaventano, però in realtà un bel film sul mondo del pallone manca, non è stato ancora realizzato».

 

 

La critica

 

 

Piaccia o non piaccia, se oggi il genere (non solo la commedia), in Italia, esiste ancora – anche continuando ad annaspare – lo si deve in gran parte ai Manetti Bros. Certo, per compiacersi della cosa si dovrebbe nutrire un qualche interesse in merito, magari tenerci (crederci?) un pochino. Ma soprattutto si dovrebbe pensare che il genere – in fin dei conti – affondi le radici nella contemporaneità e continui a essere un’ipotesi di mondo, pur attraverso i suoi bozzetti, le sue maschere e i suoi stereotipi. Maschere e stereotipi di cui il cinema dei Manetti si è sempre nutrito, talvolta anche in maniera un po’ banale e spesso compiaciuta. Il merito dei due fratelli romani però, è quello di non essersi mai accontentati d’aver trovato un meccanismo narrativo innegabilmente efficace, soprattutto in televisione (dove con Coliandro hanno raggiunto il vertice della loro concezione estetica e contenutistica), motivo per il quale non sono caduti nella pigra abitudine di ripetere tale modello all’infinito. Cosa che sarebbe stata, tra l’altro, molto comoda per due film-maker il cui cinema non si distingue quasi per niente – in termini di messinscena e di costruzione enunciativa – dai lavori televisivi, compresi i videoclip. In questo senso l’aver esplorato tanto il cinema come medium, che il genere come linguaggio li ha portati a sviluppare una sensibilità nuova e ad abbracciare il genere più di tutti lontano anni luce dall’immaginario pulp-poliziottesco-horror venato di toni comici e citazionismo che hanno sempre portato sullo schermo. Ovvero il musical. Se già con Song ’e Napule s’era fatto avanti il sospetto che finalmente ci fosse qualcosa che i Manetti sapessero fare bene anche al cinema, con quest’ultimo Ammore e malavita, è arrivata la conferma. Ancora Napoli quindi, e ancora una vicenda che coniuga un plot da crime-story al musical e alla commedia. Solo che questa volta l’universo musicale di riferimento non è quello dei neomelodici ma quello della sceneggiata napoletana e quindi di tutto un genere cinematografico che, proprio come il poliziesco, in Italia ha raggiunto l’apice negli anni Settanta. La storia – pienamente in linea con lo stereotipo della sceneggiata – è quella di due giovani innamorati, Fatima e Ciro (Serena Rossi e Giampaolo Morelli) che si rincontrano alcuni anni dopo la loro separazione causata dal fatto che Ciro si era unito alla camorra per vendicare la morte del padre. Ora che sono di nuovo insieme però il loro amore è minacciato dal boss Vincenzo Scozzalone (Carlo Buccirosso), il quale incarica Ciro – sua guardia del corpo – di far fuori Fatima, inconsapevole testimone dei loschi traffici che Don Vincenzo ordisce con la connivenza della moglie Maria (Claudia Gerini). La scoperta del musical da parte dei Manetti è una rivelazione quasi inaspettata. Non solo tengono insieme il film punteggiando la loro “sceneggiata” di pennellate comiche perfettamente integrate nella trama, ma riescono nello stesso tempo a restare dentro il genere, senza smarrirsi e limitando al massimo l’autocompiacimento che spesso li caratterizza. I brani musicali esplorano generi e stili differenti, sono funzionali alla trama e anzi, raggiungono la perfezione proprio quando si sostituiscono all’azione. Raccontando non solo gli stati d’animo e i sentimenti dei personaggi, ma anche i risvolti narrativi. Come il flashback della storia d’amore tra i protagonisti sulle note di What a Feeling (Flashdance) o il racconto dell’omicidio di Gennaro da parte di Ciro quando Fatima e lo stesso Gennaro duettano in un brano che sembra già destinato a diventare la hit della colonna sonora: Bang Bang. Ma è tutto il film a trattare con sensibilità il musical, sin dalla scelta degli interpreti – oltre a Serena Rossi (bravissima) ci sono anche il cantautore Franco Ricciardi, la voce degli Almamegretta Raiz e il veterano della sceneggiata Pino Mauro – fino agli arrangiamenti di Pivio e Aldo De Scalzi che mescolano il R&B, il pop-rock e la musica tradizionale napoletana. E se in fondo l’elemento che più difetta sono le coreografie è anche vero che nella sceneggiata classica (a differenza del musical) queste ultime non hanno mai avuto un ruolo determinante. La consueta intertestualità con cui i Manetti costruiscono le opere e la cinefilia dalla quale attingono a piene mani da sempre, inoltre, non vanno mai oltre il loro ruolo parodico e non sovrastano l’andamento del film. Citazioni più pop del solito – meno b-movies italiani e più opere americane come James Bond, orientali come Bullet in the Head e nazionali: Gomorra e persino un velato riferimento a Sergio Leone – rendono Ammore e Malavita un’opera senz’altro più matura rispetto a tutto il cinema precedente dei Manetti, ma anche rispetto al loro lavoro tout court. Ovvero un film fruibile a un pubblico più vasto, ma capace di difendere il genere anche di fronte alle ultime tendenze del cinema italiano (e non solo). Del resto chi ritiene La la Land un grande film dei (e sui) nostri tempi dovrebbe fare lo stesso – mutatis mutandis – con Ammore e malavita. In caso contrario il genere, almeno qui da noi, continuerà a morire ogni giorno un po’ di più.

LLorenzo Rossi, cineforum.it, 4 ottobre 2017

 

 

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 di Agnès Varda e JR

 

 

Ma che meraviglia questo viaggio della regista Agnès Varda, novant’anni compiuti!, e del fotografo JR, un giovanotto che così si fa chiamare, che così firma le sue opere e che utilizza la strada e i muri per esporle.

I due viaggiano su un furgoncino che è una specie di grossa macchina fotografica. Si fermano nei villaggi francesi, fotografano le persone e poi... Non diciamo cosa fanno: sorpresa.

Un film dolcissimo e umanissimo. Cinema allo stato puro. E anche racconto morale e filosofico: di una filosofia sana, popolare, fresca e pulita. Un girovagare e tantissimi incontri.

Durata: 89’.

 

 

 

Giovedì 7 marzo, ore 21

 

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