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Scheda del film (236 Kb)
Un padre, una figlia - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 1 marzo 2018 – Scheda n. 19 (1021)

 

 

 

 

 

Un padre, una figlia

 

 

 

Titolo originale: Bacalaureat

 

Regia e sceneggiatura: Cristian Mungiu

 

Fotografia: Tudor Vladimir Paduretu.

 

Interpreti: Adrian Titieni (Romeo), Maria Dragus (Eliza),

Lia Bugnar (Magda), Malina Malovici (Sandra),

Vlad Ivanov (Ispettore Capo).

 

Produzione: Mobra Films. Distribuzione: Bim.

Durata: 127’. Origine: Romania, 2016.

 

 

Cristian Mungiu

 

 

Nato in Romania, a Iasi, in Moldavia, nel 1968, Cristian Mungiu è uno dei protagonisti della rinascita del cinema romeno dopo la dittatura di Ceausescu. Mungiu ha vinto al festival di Cannes la Palma d’oro nel 2007 con il film 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, presentato al cineforum. Ha studiato letteratura inglese, ha fatto l’insegnante e il giornalista, ha seguito i corsi di cinema all’università di Bucarest. Dopo alcuni corti, passa al lungometraggio con Occidente (2002). Con il secondo film vince la Palma d’oro. Gira poi un episodio del film collettivo Racconti dell’età dell’oro (2009), quindi nel 2012 dirige Oltre le colline, premio per la sceneggiatura a Cannes e Palma d’oro per le due attrici Cristina Flutur e Cosmina Stratan. Anche Un padre, una figlia (titolo originale Bacalaureat) è presentato a Cannes, nel 2016, e riceve il premio per la migliore regia.

Ascoltiamo Mungiu: «L’approssimarsi dei 50 anni sarebbe ancora più difficile per Romeo Aldea, il protagonista del film, se nella vita non fosse sceso a qualche compromesso. Era così che si usava. Forse era così che ti insegnavano i genitori e che facevano tutte le persone che ti circondavano. Forse era quello che avevi capito di quanto ti avevano detto i tuoi professori: e cioè che è tutto quello di cui sono capaci la tua mente, la tua anima e il tuo cuore. E una volta accettato il primo compromesso, il secondo e il terzo risultano più facili: ti sei dolcemente riconciliato con l’idea che il compromesso fa parte della vita e che, in fin dei conti, esistono diversi tipi di bugie, diversi livelli di compromesso per ogni sorta di situazione. Del resto, se il mondo fosse stato onesto e leale, anche tu saresti stato onesto e leale: se tutte le persone attorno a te avessero rispettato la verità e la legge, tu avresti fatto altrettanto. Ma sfortunatamente la vita non funziona in questo modo e tu non vuoi essere un babbeo, un imbecille, un perdente e via dicendo...

Un giorno diventi genitore. E a quel punto inizi a porti una serie di domande. Cosa è giusto dire ai tuoi figli? A che cosa vuoi prepararli? Scegli di guidarli lungo la strada che hai preso tu o li incoraggi ad avere dei principi qualunque cosa accada, poiché il loro percorso è soltanto all’inizio e non devono ancora niente a nessuno? Naturalmente, in quanto genitore, desideri il meglio per loro. Ma che cos’è il meglio per loro? E per quale mondo li stai preparando, quello in cui sei cresciuto tu o quello in un altro paese?...

I modelli di pensiero e di comportamento che sono generalizzati diventano la norma, delimitano i confini etici di qualunque società, comprese quelle società in cui tutti si lamentano della corruzione. Naturalmente, parliamo sempre della corruzione degli altri e mai della nostra. Protestiamo di essere stufi di vivere circondati da menzogne, sosteniamo che l’inganno e il malaffare sono insopportabili e tuttavia non denunciamo simili atti né li contrastiamo. Cosa potrà mai fare un singolo individuo contro un intero mondo che è costruito e funziona in questo modo?

Un padre, una figlia è essenzialmente una radiografia del momento in cui un individuo si rende conto che la maggior parte della vita è ormai alle sue spalle. Hai già preso le decisioni importanti della vita e questo è lo stato in cui sei oggi. Spesso la vita a quest’età non assomiglia molto a come te l’eri immaginata quando eri giovane. Ma è così e adesso non puoi fare un gran che per cambiare. Eppure, senti che qualcosa la puoi ancora fare. Qualcosa che darebbe un senso a tutte le sventure che ti sono capitate: salvare i tuoi figli, educarli bene, aiutarli a compiere scelte migliori di quelle che hai fatto tu.

Questo è un film che parla di compromessi e di principi, di decisioni e di scelte, di individualismo e di solidarietà e anche di educazione, di famiglia e degli anni che passano. Un padre si domanda cosa sia meglio per sua figlia, se debba imparare a sopravvivere nel mondo reale o se debba lottare per essere sempre onesta cercando di cambiare il mondo per quanto le sarà possibile...

La storia di Romeo Aldea è anche la storia di una società e delle sue istituzioni. L’essenza del racconto per un film di questo tipo non risiede nella spiegazione di tutte le tematiche e di tutti i significati della storia, ma nel riuscire a non limitarli eccessivamente. Il linguaggio è sempre astratto, la comunicazione è sempre imprecisa, a volte i dettagli veicolano tanto contenuto quanto la storia stessa nel suo complesso. La specificità del cinema risiede proprio in quei dettagli che possono essere percepiti solo guardando il film: un atteggiamento intraducibile, un sentimento non meglio precisato, uno stato mentale opaco, le cose che non possono essere tradotte in parole. Un padre, una figlia appartiene a quel tipo di cinema che accorda importanza alla realtà e al realismo. È evidente che non è la realtà: semplicemente, utilizza gli eventi della vita quotidiana cogliendoli in tempo reale, senza ricorrere al montaggio o alla riorganizzazione di momenti che sarebbero potuti appartenere alla realtà, a una realtà più organizzata e strutturata rispetto alla vita reale. La storia rispetta la cronologia degli eventi, ma resta soggettiva, limitata al punto di vista del protagonista. Ciò nondimeno, il racconto ha lo scopo di farvi comprendere quello che prova il personaggio e che riflessioni fa, ma solo osservandolo da una certa distanza. Quello che conta è la verità di ciascun momento».

 

 

La critica

 

 

Anche in Mungiu, come in Farhadi, il regista iraniano di Il cliente [che vedremo verso la fine del cineforum], c’è il posizionamento iniziale delle pedine su una scacchiera, poi si va avanti in maniera quasi obbligata. Succede questo, questo, questo, questo e ci si ritrova in una posizione dove NON si voleva arrivare. Tutto il mondo è paese. La corruzione, la raccomandazione, il chiudere un occhio o anche tutti e due, i soldi nella bustarella, il pensare alla famiglia.

Siamo in provincia, in Romania. Romeo fa il medico in ospedale e ha a cuore la figlia Eliza che, appena prima dei giorni degli esami di maturità, è stata aggredita e ne è uscita con il braccio rotto. È sotto shock, potrebbe non farcela o prendere un voto basso e rischiare di non avere la borsa di studio a Cambridge. Romeo è un uomo gentile, buono e retto (in tutto: ha anche un’amante regolare...). Stavolta – per una volta, dai, una sola volta... – lascia da parte le sue regole e comincia a darsi da fare, contatta un poliziotto, un consigliere comunale, un insegnante, niente di particolarmente impegnativo, tutto sotto controllo, scambi di piaceri reciproci. Solo che l’epidemia di disonestà prende piede, contamina tutto e tutti, si rischia un crollo generale.

Mungiu avanza con meticolosa precisione nei meandri della piccola disonestà, dei minuscoli traffici di favori, se tu mi fai questo io poi ti renderò quest’altro, osserva e prende nota con la macchina da presa, non sta a fare paternali a nessuno, i suoi personaggi in fondo li capisce, speravano in una Romania diversa dopo Ceasescu e si ritrovano impantanati negli stessi vizi. Lo sguardo di Mungiu resta calmo e tranquillo, come se stessimo affondando nella melma. L’inquietudine si allarga a macchia d’olio, piano, lentamente. Chissà se i giovani potranno fare qualcosa, chissà se sapranno tenersi fuori dalle tradizioni dei padri. Eliza quella sottolineatura delle tre parole nella prova d’esame non la fa. Forse qualcosa si muove.

BBruno Fornara, su facebook, dal festival di Cannes 2016

 

Cristian Mungiu si concentra sulla storia e sui personaggi in maniera quasi classica, facendoci seguire in una spirale di suspense le vicende di un anti-eroe contemporaneo. Romeo, medico in una piccola città, ha puntato tutto sulla figlia Eliza che, dopo il diploma, proverà ad andare a Cambridge. Ma il giorno prima della maturità lei viene aggredita e va a fare gli esami sotto shock. Adesso il rischio è enorme, e l’onesto medico, su consiglio di un amico poliziotto, accetta di mettere in mezzo un politico locale bisognoso di aiuto (è in attesa di un trapianto di fegato). Sopra la testa della ragazza, e davanti al disgusto della moglie depressa di Romeo, matura così un imbroglio che si complica sempre più. Ma a venir fuori nel giro di pochi giorni sono le miserie di altri personaggi: non solo Romeo, che ha da tempo una relazione con una professoressa di Eliza, ma anche il fidanzato della ragazzina (che forse era presente al momento dell’aggressione ed è scappato). Alla fine, sono le donne quelle che escono meglio da questo spietato ritratto, che è anzitutto una metafora del fallimento di una generazione che aveva creduto nel cambiamento dopo la morte di Ceausescu e che poi si è adattata ai compromessi più sordidi.

L’uso dello schermo panoramico situa la vicenda in quartieri popolari o borghesi di uguale squallore, indagati da una macchina a mano che bracca i personaggi, mentre piccoli episodi (un vetro rotto, l’investimento di un cane) rendono ancora più inquietante l’insieme. Il realismo estremo insomma diventa un metodo di trasmettere angoscia, e poco a poco il momento di debolezza del protagonista lo inchioda in maniera soffocante, in uno sperdimento morale ed esistenziale. Efficaci gli attori, dalla perfetta mediocrità del volto di Adrian Titieni (che interpreta Romeo) alla giovane, angelica e un po’ aliena Maria Dragus nel ruolo di Eliza.

EEmiliano Morreale, L’Espresso, 4 settembre 2016

 

 

 

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di Paul Verhoeven

 

 

 

Uno dei più interessanti e provocatori film dell’ultima stagione. Per molti il più bello di Cannes 2016.

Un magnifico gatto grigio e “elle”, cioè lei, cioè Michèle (cioè Isabelle Huppert), si guardano negli occhi. Il gatto conosce il segreto della sua padrona: elle, lei, viene posseduta ogni mattina da un uomo mascherato che piomba in casa all’improvviso. Poi elle si alza e va a lavorare.

Relazioni senza regole: «La honte n’est pas un sentiment assez fort pour nous empêcher de faire quoi que ce soit».

Rigidezza, sottigliezza, consapevolezza, attivismo, voluttà, ironia, caos, desiderio, sopraffazione, ipocrisia, frenesia, violenza, ecc... ecc...

Durata: 130’.

 

Giovedì 8 marzo, ore 21

Cinema Sociale - Omegna

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