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Un mostro dalle mille teste - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 1 febbraio 2018 – Scheda n. 15 (1017)

 

 

 

 

Un mostro dalle mille teste

 

 

 

Titolo originale: Un monstruo de mil cabezas

 

Regia: Rodrigo Plà

 

Sceneggiatura: Laura Santullo. Fotografia: Odei Zabaleta.

Musica: Jacobo Lieberman, Leonardo Heiblum.

 

Interpreti: Sonia Bonet (Jana Raluy), Sebastián Boëda (Sebastián Aguirre),

Hugo Albores (Darío), Nora Huerta (dott. Villalba).

 

Produzione: Buenaventura Cine. Distribuzione: Cineclub Internazionale.

Durata: 75’. Origine: Messico, 2015.

 

 

Rodrigo Plà

 

 

Classe 1968, nato a Montevideo, in Uruguay e messicano d’adozione, Rodrigo Plà studia cinema presso il Centro de Capacitación Cinematográfica (CCC) di Città del Messico, divenendo regista, sceneggiatore e produttore. Riceve molti riconoscimenti internazionali per il suo cortometraggio El ojo en la nuca (2000). Nel 2007 realizza il primo lungometraggio La Zona, presentato alla 64a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, con cui si aggiudica il Leone del Futuro per la migliore opera prima. Il suo secondo film, Desierto Adentro (2008), viene presentato alla Semaine de la Critique di Cannes nel 2008. Con il terzo film La Demora, presentato al Festival di Berlino nel 2012, vince il Premio della Giuria Ecumenica. Infine, ecco Un mostro dalle mille teste.

Ascoltiamo Plà: «In generale, credo che Un mostro possa essere considerato un thriller. Però, durante il processo di scrittura, non decidiamo generalmente di produrre una sceneggiatura per un genere specifico. Non stabiliamo quali regole, confacenti a quel genere, andremo a rispettare. In realtà non ne parliamo. Il processo ha molto più a che fare con la storia che deve essere raccontata, con ciò che accade e a chi accade. Forse è proprio questo il motivo per cui il film ruota essenzialmente attorno alle emozioni dei personaggi, anziché concentrarsi su un’esplosione di azioni. È vero, cè una truffa, una pistola e dei poliziotti, ma quando stiamo scrivendo, in ripresa o regia, cerchiamo di porre l’accento sulle esperienze dei personaggi...

È difficile individuare il momento esatto in cui ci nasce un’idea. Di solito, quando io e la mia sceneggiatrice creiamo una storia, questa non è altro che la somma di tante cose: sentimenti, libri, film, conversazioni, ecc. Qualcosa comincia a prendere forma. Nel caso di Un mostro, l’abbiamo scritto inizialmente come se fosse un romanzo. Il tema è legato alle preoccupazioni e alle situazioni con cui tutti noi, in qualità di cittadini, abbiamo a che fare. E raccontiamo la storia da molteplici punti di vista. Puntavamo ad aggiungere livelli di complessità sempre più alta al conflitto centrale. Abbiamo avuto la sensazione che se ci fossimo avvicinati solo attraverso gli occhi della protagonista, il film avrebbe semplicemente affermato un parere e avremmo chiuso la porta alla possibilità di un conflitto etico, mentre la molteplicità di punti di vista ci allontana un po’ dalle vicissitudini e dalle emozioni di Sonia Bonet, offrendo più variabili quando si tratta di interpretare le sue azioni...

Per un film con temi essenzialmente ed estremamente impegnativi – amore, malattia, morte, responsabilità – Un mostro dalle mille teste presenta un umorismo molto secco e un’ironia drammatica. Gli argomenti menzionati sono sì impegnativi ma, allo stesso tempo, non lo sono. Si potrebbe dire che fanno parte del bagaglio di ognuno di noi. Ecco perché facciamo uno sforzo consapevole per descrivere delle situazioni in modo imparziale. Anche durante i momenti più negativi della vita, l’assurdo e il ridicolo si mettono insieme per farci ridere. La vita reale è raramente monocolore, quindi se abbiamo fatto bene il nostro lavoro, il film dovrebbe essere abbastanza simile alla vita reale, con la sua ironia e tutto il resto...

Non conosco nei dettagli il sistema sanitario americano ma so che funziona in modo abbastanza simile a quello messicano. La privatizzazione della salute, la burocratizzazione dei servizi essenziali, la riduzione del cittadino a un consumatore i cui diritti sono limitati da una polizza assicurativa, sono problemi abbastanza ricorrenti nel mondo. Anche nei paesi dove la salute pubblica è garantita e funziona, c’è sempre il pericolo della privatizzazione. E con la privatizzazione si materializza il mostro dalle mille teste e nessun cervello. Ci interessava in qualche modo alludere con il titolo al funzionamento delle corporazioni, alla dispersione della responsabilità tra più teste e alla distanza conseguente tra chi che prende le decisioni e il soggetto che alla fine paga le conseguenze».

 

 

La critica

 

 

Di fronte a Un mostro dalle mille teste in molti hanno chiamato in causa come parametro di valutazione l’opera prima di Plà, La Zona, escludendo dalla lettura di questo suo nuovo lavoro almeno due titoli intermedi, e magari sottovalutando il fatto che già La demora, che nel 2012 fu presentato alla Berlinale e divenne un caso da festival in ambito latinoamericano, finendo nella lista messicana per gli Oscar, esplorasse tematiche  tangenti o complementari a quelle di questo nuovo film, che sono, in fondo,  tangenti e complementari anche a quelle del suo primo, fortunato, lungometraggio: malattia, segregazione, privilegi elitari e pregiudizi razziali. Ovviamente non si tratta solo di rilevare una contiguità contenutistica e quindi in qualche misura suggerire la traccia di un percorso autoriale. Se La demora era una partitura a due voci che seguiva il rapporto tra un padre e una figlia corroso dalla malattia, Un mostro dalle mille teste, che è tratto da un romanzo della compagna di Plà, Laura Santullo, si concentra su un personaggio e la sua ossessione: a Sonia Bonet (Jana Raluy, volto notissimo della TV messicana) interessa che l’assicurazione cui ha versato soldi per una vita riconosca al marito, malato terminale di cancro, un trattamento sperimentale i cui benefici le sono stati presentati oltre confine, a Huston; ma la macchina burocratica messicana non consente l’uso di quei farmaci, non senza le deroghe dei referenti medici, e questi non sembrano esattamente disposti a prestare ascolto: di fronte a questa rete respingente, per farsi ascoltare, Sonia sceglie rimedi estremi, trascinando con sé, involontariamente, il figlio adolescente. Quello che era cominciato con tutti i parametri del dramma di denuncia sociale diventa d’un tratto un thriller psicologico, non privo di momenti di humour nero, talvolta nerissimo. Plà semina in anticipo, mantenendo la giusta distanza, focale e psicologica, i tratti dell’esasperazione indotta nella protagonista: Jana Raluy offre all’obiettivo un volto segnato, ma la voce è sempre un passo di qua del rigo, non si fa tentare dalla scelta facile della reazione isterica. Soprattutto, con la scelta di focali lunghe, del fuori fuoco e di una costruzione selettiva delle scene, Plà crea un senso di temporalità differenziata: il tempo adrenalinico, vissuto in corsa, da Sonia, che cozza, spesso nella medesima inquadratura, contro il tempo del lavoro o dello svago dei burocrati, degli impiegati e dei medici che la donna si trova a dover affrontare: un senso della durata molto diverso. In Un mostro dalle mille teste la richiesta di un giusto trattamento sanitario scoperchia una realtà più estesa e pervasiva di cattive condotte, di malasanità, diremmo in Italia: forse a Sonia non riuscirà nemmeno di portarne le prove all’attenzione pubblica. A noi spettatori non resta che essere testimoni, miopi e parziali, convocati a processo, a porte aperte, nell’ultima inquadratura, insieme a quelli che, in voce-off hanno accompagnato (interrogandosi sulla propria negligenza) il giorno di (stra)ordinaria follia di una donna che ha tentato il tutto per tutto.

AAlessandro Uccelli, cineforum.it, 2 novembre 2016

 

Un uomo cade dal letto in piena notte a causa dell’improvviso peggioramento del suo tumore. Esiste il medicinale per trattarlo ma occorre l’autorizzazione dell’assicurazione sanitaria per poterlo ottenere. Dopo lunga ed inutile attesa la moglie e il figlio seguono fino a casa il medico che dovrebbe autorizzare il trattamento ma costui si rifiuta di firmare i moduli necessari. La donna esasperata estrae dalla borsa una pistola e, minacciando il medico e sua moglie, riesce a sapere dove rintracciare i dirigenti dell’istituto assicurativo e a raggiungerli. Dopo il successo di La zona Rodrigo Plà affronta un tema che purtroppo non è specifico solo della sua nazione (il Messico) ma è diffuso in numerosi paesi. Si tratta dell’assicurazione sanitaria, una modalità di assistenza con la quale si monetizza la salute e perfino la sopravvivenza di un essere umano. Nei confinanti Stati Uniti si verificano casi in cui l’ente assicurativo in forma scritta nega le cure necessarie, in quanto non previste nella polizza stipulata dal paziente, ma si dichiara pronto a pagare per il suicidio assistito. Sono scandali che dovrebbero gridare vendetta che si sono invece trasformati in pratica quotidiana. Plà decide di adottare la cifra stilistica del thriller al cui centro sta una donna che ama profondamente il marito e che è progressivamente sempre più esasperata dall’assoluta indifferenza di un sistema che è mostruoso quanto il male che ha attaccato il consorte. Si potrebbe scomodare Kafka per descrivere le sensazioni che la protagonista prova dinanzi ai suoi interlocutori. Di fatto però la situazione si presenta come ben nota a molteplici latitudini e anche per situazioni diverse da quella narrata tanto da poter stupire anche l’autore ceco se oggi fosse ancora in vita. Perché ciò contro cui ci si scontra è la negazione di responsabilità che si copre dietro ‘regole’ che sembrano scolpite nella pietra e che invece di pietra hanno solo il cuore di chi le ha pensate e ne pretende l’applicazione. Plà dimostra di avere le qualità necessarie per trasformare la denuncia in cinema.

GGiancarlo Zappoli, mymovies.it, novembre 2016

 

 

 

 

 

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Liberami

 

di Federica di Giacomo

 

 

La giovane regista Federica di Giacomo è anche antropologa. Studia i comportamenti umani e sociali e fa dei film dal vivo e dal vero. Ha lavorato per tre anni a questo film che ha vinto il primo premio per la sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia e tanti altri premi in giro per il mondo.

Liberami da cosa? Ma dal demonio! Da Satana e dai suoi perfidi, infidi e tenaci diavolacci!

Un’Italia sconosciuta. A Palermo, padre Cataldo, famoso esorcista (sono ancora tantissimi...), si è specializzato nel liberare gli indemoniati dagli spiriti maligni che li infestano. Sacrestia e chiesa accolgono corpi posseduti, scossi e ululanti. C’è tanto lavoro da fare. Troppo: così padre Cataldo ricorre anche agli esorcismi telefonici...

Durata: 89’.

 

 

Giovedì 8 febbraio, ore 21

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