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Il piacere - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 21 dicembre 2017 – Scheda n. 11 (1013)

 

 

 

 

Il piacere

 

 

 

 

Titolo originale: Le Plaisir

 

Regia: Max Ophuls

 

Sceneggiatura: Jacques Natanson e Max Ophuls.

Soggetto: da tre racconti di Guy de Maupassant.

Fotografia: Philippe Agostini, Christian Matras.

Musica: Edmond Audran, Joe Hajos, Jacques Offenbach,

Robert Planquette, Maurice Yvain.

 

Interpreti: Jean Servais (la voce di Maupassant);

 

episodio La Masque:

Claude Dauphin (il dottore), Gaby Morlay (Denise, la moglie),

Jean Galland (Ambroise, il marito e ballerino mascherato),

Paul Azaïs (il proprietario del locale), Gaby Bruyère (Frimousse, la ballerina);

 

episodio La Maison Tellier:

Madeleine Renaud (Julia Tellier), Ginette Leclerc (Madame Flora),

Danielle Darrieux (Madame Rosa), Pierre Brasseur (Julien, venditore),

Jean Gabin (Joseph Rivet);

 

episodio La Modèle:

Jean Servais (Maupassant, l’amico di Jean), Daniel Gélin (Jean),

Simone Simon (la modella).

 

Produzione: Compagnie Commerciale Française Cinématographique (CCFC) e Stera Fims.

Distribuzione: Lab80 Film.

Durata: 93’. Origine: Francia, 1952.

 

 

Max Ophuls

 

 

Max Ophuls è uno dei grandissimi della storia del cinema. È nato a Saarbrücken, nel 1902, tra Francia e Germania, ed è morto ad Amburgo, nel 1957. Ha detto Ophuls: «La mia città natale, Saarbrücken, ha avuto il privilegio di cambiare molte volte nazionalità». Di origini ebraiche: vero cognome Oppenheimer. Il suo cognome d’arte si trova scritto in vari modi: con la dieresi sulla u, Ophüls, che è la versione tedesca; senza dieresi, Ophuls, che è quello più giusto, da cittadino francese; anche senza dieresi e senza h, Opuls, come lo scrissero gli americani perché a loro Ophüls, pronunciato alla inglese, suonava molto simile alla parola “auwful”, “orribile”.

Ha diretto film in Austria, Germania, Italia, Francia, Paesi Bassi e Stati Uniti. Amava ardentemente la Vienna decadente. Cominciò a lavorare in teatro come attore, poi come regista. Passò al cinema come aiuto-regista di Anatole Litvak. Il suo primo cortometraggio da regista è una commedia, Dann schon lieber Lebertran (È meglio l’olio di fegato di merluzzo, 1931). Altri film girati in Germania sono La ditta innamorata (1931), La sposa venduta (1932), Amanti folli (Liebelei) e Lachende Erben (1933). Prima della seconda guerra mondiale prese la cittadinanza francese (e perse la dieresi). In Francia diresse Amanti folli (Une histoire d’amour) (1933), Hanno rubato un uomo (1934), La signora di tutti (1934), La nostra compagna (La Tendre ennemie) (1936), Le Roman de Werther (1938), l’incompiuto L’école des femmes, Tutto finisce all’alba (Sans lendemain) e Da Mayerling a Sarajevo (tutti e tre del 1940). Nel 1941 emigrò negli Stati Uniti. Il primo film hollywoodiano fu Re in esilio (1947), con Douglas Fairbanks Jr. Del periodo americano è il capolavoro Lettera da una sconosciuta (1948). Del 1949 sono Presi nella morsa e Sgomento. Tornato in Francia, ha diretto quattro film memorabili: Il piacere e l’amore (La Ronde, 1950), Il piacere (1952), I gioielli di Madame de... (1953) e Lola Montès (1955). È sepolto a Parigi nel cimitero Père Lachaise.

Max Ophuls è un maestro nel melodramma, meravigliose sono le sue figura di donna, è un genio nell’uso della macchina da presa in raffinatissimi piani sequenza, con lunghe inquadrature in movimento, è impeccabile per eleganza, intensità e senso della composizione.

Il piacere è composto da tre racconti di Guy de Maupassant. Il primo, Le Masque (La maschera), è ambientato nel Palais de la Danse, dove arriva correndo un ballerino mascherato. Il secondo, La miason Tellier, tratto da uno dei più celebri racconti di Maupassant, racconta di un gruppo di prostitute che lasciano la città per andare in campagna per la comunione della nipotina della maîtresse. Il terzo episodio è Le modéle, protagonisti un pittore e la sua modella. I tre episodi sono introdotti dalla voce di un narratore che è lo stesso Maupassant.

Sentiamo la voce di Max Ophuls che parla di ricordi. «Avevo quattro anni. Mia nonna mi aveva portato alla fiera. Davanti a una tenda una donna enorme si sgolava per attirare una clientela esitante. All’interno, su un lenzuolo che fungeva da schermo, assistemmo a una scena palpitante. Un omone, dagli occhi folli, sembrava in preda alla più viva agitazione. Gesticolava, pestava i piedi, si dimenava davanti a una tavola ornata da un gigantesco calamaio. Improvvisamente afferrò con due mani il recipiente, lo portò alla bocca e cominciò a bere. Via via che l’inchiostro gli scorreva in gola diventava blu, tutto blu, come l’inchiostro, a cominciare dai piedi. Quando la colorazione raggiunse il viso, si strozzò e il film finì lì. La storia durava pressappoco il tempo necessario a raccontarla, neppure due minuti, ma sufficienti a farmi tremare, piangere e ridere. Insomma, a credere ai “principi dell’arte drammatica” definiti da Schiller, tutta la gamma di emozioni che uno spettacolo può determinare in uno spettatore...

Esiste una corrente che porta la nave della nostra vita, un immenso battello su cui commedianti e regista danno uno spettacolo. Non è una corrente elettrica, né atomica, ma sulle sue rive abitano i poeti. È la corrente dell’immaginazione. Impedire a questa corrente di prosciugarsi è il nostro dovere di gente di cinema; la corrente della poesia che era davanti a noi, che è intorno a noi, o che nascerà domani...

Nella sartoria Kerenska, di proprietà di una russa bianca, era esposta una pelliccia. chiesi di mostrarmela. Non avevo mai visto nulla di simile; era di un lusso e di una semplicità che mi faceva battere il cuore solo a guardarla. Proposi: vuole vendermela? Per quanto? La commessa, anch’essa una russa bianca, mi rispose: ma le costerà molto! E mi disse il prezzo, forse era in marchi, diciamo erano 50.000. “Troppo caro, non possiamo permettercelo”. La ragazza: “Ma vede, la pelliccia appartiene a una vecchia signora, russa bianca, e la indossava il suo amante, capisce? E lui ha attraversato quattro volte nella sua vita il Volga ghiacciato per andare a trovarla. Quattro volte, monsieur... e anche ghiacciato; allora se la signora si separa da questa pelliccia, da un così grosso avvenimento, può separarsene solo per molti soldi”. Le chiesi se potevo averla in prestito. No, mi rispose, non oserei neppure proporlo alla contessa; chiederla in prestito è una proposta poco dignitosa. Poi mi domandò cosa volevo farne della pelliccia. Le dissi che si trattava di un film e le raccontai la storia. Lei propose: “Racconterò la storia del film alla signora”. Tornai dopo tre giorni e mi sentii dire: “Può prendere la pelliccia. Non costa nulla”...

La macchina da presa esiste per mostrare sullo schermo ciò che non è possibile vedere altrove: né sulla scena, né nella vita... Il mio pensiero fondamentale è riuscire a piacere a ogni spettatore, a tutto il pubblico, e anche alla signorina della cassa...

Fatto curioso, amavo proprio ciò che non mi si voleva permettere di mostrare. Sono sempre stato attratto dall’universo dei protettori e delle prostitute, questo universo in cui giacciono tanti sconosciuti soldati dell'amore, che forma la base vergognosa e tuttavia reale della morale borghese».

 

 

La critica

 

 

Questi tre confronti del piacere con l’amore, con la purezza e con la morte, per riprendere gli stessi termini del narratore, formano uno dei più brillanti film di Ophuls e uno di quelli dove il regista ha raggiunto la perfezione della sua arte, come in Lettera da una sconosciuta e I gioielli di Madame de... Interpretando liberamente Maupassant, Ophuls dà a ognuna delle tre storie un tono in maggiore che riappare in minore nelle altre due: malinconia nella prima storia, ironia e gioia nella seconda, tristezza morbida nella terza. Tutti questi toni e tutte queste storie conducono inesorabilmente verso quella gravità alla quale, nell’universo di Ophuls, l’uomo non può sfuggire, anche se ha passato tutta la sua esistenza cercando di sfuggirla.

Sul piano dello stile Il piacere rappresenta “l’ideale conciliazione dell’impressionismo francese e del barocco tedesco” (Claude Beyle). Si noterà di passaggio che né il pleonasmo e neppure la ridondanza guastano questo stile, ma al contrario lo arricchiscono. Quale più cattiva idea di far descrivere dal narratore ciò che si vede così ben rappresentato sullo schermo! Eppure, in questa maniera il film ci tocca doppiamente, con le parole e con le immagini. La tecnica particolare di Ophuls – movimenti di macchina incessanti e interposizione di oggetti e di parti delle scenografie tra la macchina da presa e i personaggi – si spinge qui più che altrove nell’applicazione di questa sua decisione. Particolarmente nella descrizione delle attività della Casa Tellier, viste esclusivamente dall’esterno e da dietro la finestre. Come giustificare questo partito preso? E perché mai giustificarlo? Qui capriccio e genio, artificio e necessità si toccano. (...)

L’interpretazione ubbidisce alla regola d’oro che Ophuls si era fissata una volta per tutte: utilizzare grandi attori ovunque, fino ai ruoli più piccoli. A questo proposito la sequenza della delusione dei clienti della ‘casa’ è particolarmente felice. I dialoghi: va apprezzata la loro economia e la giudiziosa selezione operata sul testo di Maupassant, dove sono più abbondanti e hanno una funzione più narrativa. Nel film di Ophuls i dialoghi si arricchiscono di alcune aggiunte ammirevoli come le frasi finali sulla felicità che non è allegra.

Il debole risultato, di critica e di pubblico, fa una delusione per Ophuls e per i suoi ammiratori. Poi, i cineclub e sale d’essai hanno un po’ posto rimedio alla cosa. Si diceva all’epoca che se Ophuls non si fosse ostinato a mettere la storia più nera per ultima e se avesse terminato il film con La casa Tellier il pubblico avrebbe accolto il film in tutt’altra maniera. Ma si sarebbe dovuto, per compiacere gli spettatori, guastare l’architettura d’insieme del film con i due episodi più brevi che incorniciano il pannello centrale. Anche in questo, capriccio e genio, così ben sposati insieme, si fanno beffe di ogni critica.

JJacques Lourcelles, Dictionnaire du Cinéma, Les films, 1992  

 

 

 

 

 

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Tanna

 

di Martin Butler e Bentley Dean

 

 

Sosta natalizia. Auguri di ogni bene e di felice Anno Nuovo.

Il cineforum riprenderà giovedì 11 gennaio con un film specialissimo, un film che viene da molto lontano. Nientemeno che dalle isole Vanuatu, nel Pacifico.

La vita degli indigeni (che sono gli interpreti del film), una storia d’amore, il vulcano, un paesaggio stupefacente. Presentato a Venezia, Tanna sbuca incredibilmente fuori dagli antipodi...

Durata: 104’.

 

 

Giovedì 11 gennaio 2018, ore 21

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