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Scheda del film (184 Kb)
Marguerite - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 2 febbraio 2017 – Scheda n. 14 (989)

 

 

 

 

 

Marguerite

 

 

 

Regia: Xavier Giannoli

 

Sceneggiatura: Xavier Giannoli, Marica Romano.

Fotografia: Glynn Speeckaert. Musica: Ronan Maillard.

Montaggio: Matthieu Taponier.

 

Interpreti: Catherine Frot (Marguerite), André Marcon (Georges Dumont),

Michel Fau (Atos Pezzini/Divo), Christa Théret (Hazel),

Denis Mpunga (Madelbos), Sylvain Dieuaide (Lucien Beaumont),

Aubert Fenoy (Kyril Von Priest), Sophia Leboutte (Félicité La Barbue),

Théo Cholbi (Diego).

 

Produzione: Fidélité Films. Distribuzione: Movies Inspired.

Durata: 127’. Origine: Francia, 2015.

 

 

Xavier Giannoli

 

 

Nato nel 1972 vicinissimo a Parigi, a Neuilly sur Seine, Xavier Giannoli si è laureato in lettere moderne alla Sorbona nel 1993, ha fatto l’assistente alla regia per numerosi film, videoclip e spot, poi ha realizzato L’Interview, un cortometraggio che ha vinto la Palma d’Oro per la sua sezione al Festival di Cannes del 1998. Prima di questo aveva già diretto altri cortometraggi, tutti premiati in vari festival: Le condamné (1993), Terre Sainte (1994), J’aime beaucoup ce que vous faites (1995) e Dialogue au Sommet (1996). Esordisce nel lungo con Corpi impazienti (2003) nominato a due Premi César, gli Oscar francesi, per i suoi giovani interpreti, Laura Smet e Nicolas Duvauchelle. Del 2005 è Une aventure. Nel 2006 presenta in concorso a Cannes Quand j’étais chanteur, con Gérard Depardieu e Cécile de France, che vince un César. Nel 2009 torna a Cannes con À l’origine. Arrivano poi Superstar (2012) e questo Marguerite, presentato in concorso a Venezia nel 2015.

Nota: è uscito da poco nelle sale italiane il film Florence di Stephen Frears, ispirato allo stesso personaggio, interpretato stavolta da Meryl Streep.

Ascoltiamo Giannoli: «Più di una decina di anni fa, ho sentito alla radio la voce esilarante e tragica di questa cantante che cantava in modo completamente stonato. Ho scoperto che era americana, si chiamava Florence Foster Jenkins e aveva vissuto nella prima metà del XX secolo. Sul suo unico disco, c’era una foto di lei con delle ali sul dorso e il sorriso fiducioso di una donna che sembrava palesemente e totalmente incosciente dell’inadeguatezza comica della sua voce. Mi ha commosso e ho fatto un’indagine sui giornali per saperne il più possibile. Non volevo fare un film biografico, perché preferisco che un film dia un punto di vista personale. Ho mantenuto molti elementi riguardo al suo rapporto con la musica, il suo ambiente sociale, la sua cerchia musicale, ma ho preso le distanze dalla storia vera per fare posto alla favola e al romanzesco. Ho quindi deciso di trasporre la storia dagli anni ’40 agli anni ’20, e dagli Stati Uniti alla Francia...

Abbiamo tutti bisogno di illusioni per vivere. E anche il mondo di oggi risuona nella storia di Marguerite con la menzogna, l’ipocrisia, l’illusione che si crea o di cui si è vittime perché ci rassicura. Il personaggio ha un’umanità che ci dice qualcosa e il suo dramma non è legato a un’epoca, né a un ambiente in particolare, ma è una sfida universale della vita: la forza che si può avere nell’accettare la realtà di quello che si è, di quello che si fa...

Sarà un luogo comune, ma la vita può essere comica, burlesca e ridicola, e allo stesso tempo tragica, profondamente commovente, a volte dolorosa. Marguerite è una donna innocente e del tutto eccentrica la cui stramberia è espressione di libertà, di non sottomissione. Lei è capace di qualsiasi cosa: si rivolta contro il suo ambiente, rompe con tutti i suoi codici, incontra artisti e gente che le danno la voglia e la necessità di affrancarsi, di diventare padrona di se stessa. Questo la proietta quindi in situazioni molto buffe. Ma è anche un personaggio che impara dalle menzogne. Un po’ come un bambino che cammina sul ghiaccio mentre tutti dicono che potrebbe romperglisi sotto i piedi da un momento all’altro, lei rischia di scoprire la verità, che tutti le hanno sempre mentito, che nessuno ha mai osato dirle che cantava malissimo. C’è una tensione drammatica forte, come una suspense: si teme che alla fine possa scoprire la verità...

Il film non ha un grande budget. L’ho preparato per due anni facendo tantissimi sopralluoghi e trovando soluzioni per ciò che rischiava di essere oneroso e costoso. Ma ci voleva qualcosa di visivamente affascinante perché è anche il soggetto a volerlo: quando parli di menzogna, il potere dell’immagine è molto importante. Volevo una forma d’eleganza. Penso che i più bei film in costume siano i più minimalisti, quindi non volevo nessun feticcio, bensì esprimere il passaggio da un mondo antico a uno nuovo. Marguerite è ricca, vive in un castello in grande stile francese, ma è l’avventura, gli incontri e il suo desiderio di emanciparsi che le fanno scoprire altri mondi visivi: cabaret, teatri, uffici…

Infine, si attraversano tantissimi universi sonori: jazz, opera, musica sperimentale dell’epoca e Marguerite si ritrova in un happening dadaista, in quel movimento che è stato la grande rivoluzione artistica dell’inizio del XX secolo. Visto che il personaggio vive un’avventura all’insegna della libertà, mi piaceva l’idea degli anni ’20, che lei sentisse suoni originali, vedesse quadri che non si erano mai visti, si ritrovasse con artisti che proponevano nuovi modi di esprimersi».

 

 

La critica

 

 

Marguerite, baronessa francese e melomane, ha sposato per amore Georges Dumont, aristocratico che ha venduto il titolo e scordato la nobiltà. Diviso tra motori e amanti, Georges sopporta Marguerite e si nega al suo amore. Un amore cieco e ostinato che sublima nel canto e davanti a un pubblico di aristocratici ipocriti, che raccolgono fondi per gli orfani di guerra e ridono della sua ‘discordanza’. Perché Marguerite non ha voce, non ha attitudine, non ha umiltà, non ha limiti, soltanto illusioni alimentate dal fedele maggiordomo, dall’entourage domestico e da un marito troppo vigliacco per disilluderla e tanto crudele da illuderla. Al riparo dalla Parigi degli anni Venti, che ribolle di eccitazione e cultura, Marguerite consuma le sue giornate in un ‘castello’ bucolico, sorda alla verità. A espugnare il suo ritiro ‘artistico’ penseranno Lucien Beaumont, giornalista e scrittore promettente, e Kyrill von Priest, poeta dadaista e anarchico. Nella baronessa ‘stonata’ i due giovani individuano una voce di ‘rottura’ da traslocare nei café parigini per demolire il sistema dell’arte e per sovvertire le aspettative del pubblico borghese. Fuori dalle sue stanze traboccanti di costumi, spartiti e desideri infranti, Marguerite trova sfrontatezza e coraggio. Salirà in palcoscenico e canterà questa volta per un pubblico vero. Un salto senza rete che si schianterà contro un acuto.

Ha il nome dell’eroina di Alexandre Dumas, la baronessa francese di Xavier Giannoli, incarnazione di una passione senza ‘voce’. Della ‘signora delle camelie’, Marguerite condivide il destino tragico, quello grottesco lo ricava invece da Florence Foster Jenkins, ‘soprano’ americano senza colori che nell’America degli anni Trenta mise a dura prova il suo pubblico. Impossibile applicare con le chanteuses la ‘sospensione dell’incredulità’ perché l’incongruenza della loro voce, la loro totale mancanza di intonazione rendono la fruizione di un’aria o di un lied insostenibile e insieme esilarante. Traslocata nella Parigi cosmopolita, mondana e liberale degli anni Venti, Marguerite non potrà mai compensare la mancanza di capacità o attitudini di base, eppure questo non sembra fermarla. La percezione della propria efficacia, sostenuta e accresciuta da consorti e amici, fa di Marguerite una creatura insieme tragica e patetica.

Con Marguerite e dopo Superstar, Xavier Giannoli torna a parlare di ‘falso successo’ senza dare risposte ma sollevando al contrario questioni. La menzogna (la nostra e quella degli altri) ci uccide? Ci tiene in vita? Ci rende folli? (...)

Giannoli, meno interessato alla valenza provocatoria del gesto, solleva oggi come allora alcune domande fondamentali riguardo ai meccanismi che stanno alla base di un evento estetico o di uno show (teatrale o televisivo che sia). Il punto di vista assunto è ancora una volta quello di un personaggio ingenuo e naïf, di cui l’autore, come uno dei suoi anarchici artisti, intende la natura ‘irriverente’. Precipitata in costumi aristocratici nel fervore dell’avanguardia francese, Marguerite è ammirata e accolta come una rivoluzionaria da un giovane dadaista che intuisce in lei lo scandalo, il momento di pura negazione, l’annientamento gridato di un’aura poetica dentro i teatri e i music hall parigini, palcoscenici delle più imprevedibili e radicali provocazioni artistiche del Novecento. Eroina perturbante e onirica, prima che ridicola e mesta, la Marguerite di Catherine Frot è la magnifica incarnazione di uno spirito (suo malgrado) ribelle e iconoclasta, una sorta di creazione dadaista lanciata contro le convenzioni morali e culturali della società borghese (matrimonio compreso). Marguerite è il sogno di un mondo migliore, una ‘voce di rottura’ che vince ogni inibizione e risveglia il desiderio e l’immaginazione. Ma qualche volta il risveglio può essere fatale se alla demolizione del vecchio sistema non subentra una nuova normativa estetica o peggio non ci abiti la vocazione, lo stile e l’autentica sensibilità che gli corrisponde. A corrispondere la persuasione esaltata e irriducibile di Marguerite è soltanto la menzogna, la crudeltà, l’opportunismo e la pietà. Interpretato ‘liricamente’ da Catherine Frot, declinata in melodramma, Marguerite perde troppo presto l’urgenza di una storia e di una riflessione, sospendendo lo sviluppo per limitarsi alla collezione di ‘fotografie’. Un film scordato che tuttavia rispolvera il maggiordomo zelante di Billy Wilder (Viale del tramonto) e la grazia e l’implacabilità classista di Max Ophüls.

MMarzia Gandolfi, mymovies.it, settembre 2015

 

 

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Fuochi d'artificio

 

in pieno giorno

 

di Yinan Diao

 

 

Il film ha vinto il primo premio, l’Orso d’Oro, al festival di Berlino del 2015.

Una Cina gelida e nevosa. Non la Cina dei film cinesi dei grandi registi. Una Cina sconosciuta, quella di un film di genere, un film noir con un’inchiesta finita male con la morte di alcuni poliziotti e un detective che non è riuscito ad arrivare a una conclusione.

Una dolce, bella e apparentemente fragile dark lady. Un assassino nascosto nella notte...

Durata: 106’.

 

 

Mercoledì 8 febbraio, ore 21

Cinema Sociale - Omegna

 

 

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