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Oltre le colline - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 27 marzo 2014 – Scheda n. 23 (917)

 

 

 

 

Oltre le colline

 

 

 

Titolo originale: Dupã dealuri

 

Regia e sceneggiatura: Cristian Mungiu.

 

Fotografia: Oleg Mutu. Montaggio: Mircea Olteanu.

 

Interpreti: Cosmina Stratan (Voichita), Cristina Flutur (Alina),

Valeriu Andriuta (il pope), Dana Tapalaga (la madre superiora),

Catalina Harabagiu (suor Antonia), Gina Tandura (suor Iustina),

Vica Agache (suor Elisabeta), Nora Covali (suor Pahomia),

Ionut Ghinea (Ionut), Liliana Mocanu (madre Elena),

Doru Ana (papà Nusu), Costache Babii (il dottor Solovastru),

Luminita Gheorghiu (il professore), Alina Berzunteanu (la dottoressa Radu).

 

Produzione: Mobra Films. Distribuzione: BIM.

Durata: 155’. Origine: Romania, 2012.

 

 

Cristian Mungiu

 

 

Nato nel 1968, a Iasi, in Romania, Cristian Mungiu appartiene a quella generazione che è stata definita “postdicembrista”, cioè di coloro che si sono formati dopo la rivoluzione rumena. Ha studiato letteratura inglese, ha lavorato come giornalista e insegnante, ha frequentato l’Accademia di cinema a Bucarest e ha cominciato a lavorare come aiuto per Radu Mihaileanu, il regista di Train de vie.  Ha diretto alcuni cortometraggi che l’hanno fatto conoscere e con i quali è stato premiato in numerosi festival: Mariana (1998), Nici o întâmplare (1999), Mâna lui Paulista (1999), Zapping (2000), Corul pompierilor (2000). Il suo primo lungo è Occident (2002), presentato a Cannes. Con il secondo film, 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007, visto al Cineforum), vince a Cannes la Palma d’Oro e viene portato alla ribalta internazionale. Del 2009 è Racconti dell’età dell’oro, seguito adesso da Oltre le colline.

Sentiamo Mungiu: «Il mio film è anzitutto un film sull’amore e sulla libera volontà. Soprattutto su come l’amore può torcere i concetti di bene e di male in concetti relativi. Alcuni dei più orribili errori nel nostro mondo sono stati commessi in nome della fede, nella convinzione che servissero per una buona causa. Oltre le colline parla anche di una certa maniera di vivere l’esperienza religiosa. Mi sono sempre meravigliato di quanta attenzione pongano i credenti nei confronti delle proprie convinzioni religiose e delle proprie regole, e quanto poco poi applichino l’essenza e la saggezza del Cristianesimo nella loro vita di ogni giorno. Mentre preparavo il film ho letto con cura la lista dei peccati compilata dalla Chiesa Ortodossa. Sono parecchi: 464 per la precisione. Eppure c’è un peccato che non è tra i tanti elencati ed è invece una delle cose di cui il film vuole parlare: il peccato dell’indifferenza. Forse non sarà un peccato, visto che non è nell’elenco. Ma che cos’è allora? È pericolosa l’indifferenza o no? Il film riflette anche sulle varie maniere in cui il Male può manipolare le persone e sui modi sottili in cui si manifesta. Mi chiedo se l’indifferenza non sia uno di questi modi. Ancora più in profondità, spero che Oltre le colline parli anche delle opzioni e delle scelte di vita che derivano dall’educazione o dalla mancanza di educazione, e di come tante cose nella vita derivano da altre cose che noi non possiamo cambiare, o di cui non siamo colpevoli: come siamo stati chiamati a questo mondo, da chi, e in mezzo a quale comunità. Il film parla anche di un luogo del mondo – come molti altri luoghi – dove la lunga esposizione a una successione infinita di sventure e atrocità di ogni tipo ha avuto come risultato la formazione di un popolo inerte che ha perso ogni normale reazione davanti a stimoli normali. Non è necessariamente colpa loro; è semplicemente un meccanismo di sopravvivenza che però può essere vissuto come un ulteriore peso per quei pochi che sono ancora vivi tra loro...

Oltre le colline è un film sull’amore e su quello che provoca l’abbandono dell’amore. Il film mostra una vittima, ma i veri colpevoli non sono mostrati. È il risultato di un sistema educativo deficitario che è stato messo in piedi molto tempo prima e che non assolve al suo compito. Quello che mi interessa non è additare il colpevole. Le scelte invece sono importanti. Si ha sempre ragione ad aiutare il prossimo, anche la persona che si ama? La si aiuta veramente imponendole i propri valori suo malgrado? Quest’uomo di fede pensa di aiutare questa ragazza perché nessun altro lo fa. La porta all’ospedale, ma i medici non possono curarla e lui interpreta questo fallimento come una sorta di diritto sulla sua sorte o sul metodo di trattamento. I suoi atti corrispondono alle sue scelte, ma non sappiamo se lui ha veramente scelto la sua fede né come è arrivato a quello stile di vita. Nessun giudizio. Cerco di non criticare nessuno. Questo film parla di casi particolari. Non c’è generalizzazione e, nel descrivere questa piccola comunità, non descrivo la società rumena. Un film non ha la capacità di essere così globalizzante. Oltre le colline tratta più della superstizione che della religione.».

 

 

La critica

 

 

Nel giugno del 2005, nella piccola città rumena di Tanacu, in Moldavia, una religiosa di ventiquattro anni, suor Irina Cornici, venne portata in ospedale, ma era già morta da ventiquattr’ore. L’inchiesta appurò che il suo decesso era avvenuto in seguito alle pratiche di un esorcismo cui era stata sottomessa da padre Daniel, pope del monastero di Santa Treime (la Santa Trinità). Scoppiò uno scandalo che finì per avere risonanza internazionale. La Chiesa Ortodossa condannò l’episodio, scomunicò padre Daniel e le monache coinvolte e prese le distanze dall’accaduto, che però aveva rivelato come gli esorcismi fossero diventati ormai numerosi in Romania, dove i monasteri (e le vocazioni) si erano moltiplicati in modo esponenziale nel corso dei vent’anni intercorsi dalla caduta di Ceausescu. Cristian Mungiu rimase colpito dall’episodio. Ma dovettero trascorrere sei anni prima che trovasse la chiave per allontanarsi dalla cronaca nera e convertire quella storia enigmatica in un racconto filmico, basandosi su due libri della scrittrice (all’epoca giornalista della BBC a Londra) Tatiana Niculescu Bran, che ne ricostruiscono le complesse implicazioni: Irina, la ragazza vittima delle pratiche esorcistiche, era innamorata di un’altra giovane suora e, a causa di questo suo amore proibito, padre Daniel e le monache avevano ritenuto che fosse posseduta dal Maligno. Mungiu si è impadronito di una materia così incandescente, raschiandola da ogni possibile connotazione mélo. L’ha denudata alla cruda essenzialità di un processo persecutorio che isola e poi sopprime un elemento anomalo all’interno di una comunità cementificata in se stessa. È un processo dipanatosi sotto il segno dell’indifferenza della comunità religiosa alle reali, effettive sofferenze della ragazza, un processo che segue un crescendo degenerativo mostrato nella sua fenomenologia in lunghi piani sequenza, evitando (a differenza del film precedente) l’impatto emotivo dei primi piani e adottando uno spettro ridotto di cromatismi, a favore di un’immagine grigia, bluastra, quasi buia, ottenuta anche grazie alla postproduzione digitale. I personaggi, osservati con distacco da entomologo, parlano e si svelano con azioni e reazioni fisiche e verbali racchiuse in pochi spazi coatti, dove agiscono dinamiche opposte e contrarie. Innanzitutto la dinamica passionale. L’amore di Alina per Voichita, un amore che fin dalle prime inquadrature appare squilibrato: Alina piange di commozione nel rivedere e riabbracciare l’amante che invece è irrigidita nella sua nuova identità di monaca novizia e si preoccupa che nessun passante possa notare la particolare corrente affettiva che passa fra le due donne. La relazione amorosa fra le due ragazze è interamente relegata nell’ellissi del passato e Alina è rimasta sola a vivere l’intensità di un sentimento che non trova più rispondenze nell’amante di un tempo. In realtà, Voichita appare, all’inizio, una figura non priva di ambiguità: ha rinnegato l’amore per l’amica ma vuole ugualmente tenerla accanto a sé e convertirla alla sua nuova esistenza, dove, dietro la dedizione a Dio (come Alina comprende lucidamente), si cela l’amore per “papà”, un uomo di trent’anni, precocemente invecchiato e consacrato al ruolo patriarcale e dogmatico che esercita sulla piccola corte di donne ai suoi ordini. (...)

È significativo che l’amore saffico non sia mai evocato, nemmeno velatamente, fra le mura del monastero, dove l’unica traduzione che viene data dell’origine di quei comportamenti è, appunto, la possessione demoniaca. (...)

La violenza primordiale del rituale esorcistico, mostrato da Mungiu senza farne materia di spettacolo, ma come atto di banale barbarie, si condensa nell’immagine delle monache che si chinano su Alina facendone scomparire il corpo, la volontà, l’energia, sotto le loro vesti nere e sinistre, lasciando udire le loro grida isteriche e concitate mentre tirano e legano le catene del martirio. La sequenza dell’esorcismo determina l’avvio della metamorfosi di Voichita (...).

Oltre le colline, infatti, è anche il racconto dell’affrancamento di un io dal plagio, oltre che la storia di un martirio. (...)

È proprio la convinzione profonda e l’intransigenza dei carnefici di Alina a rendere più atroce questa parte del racconto, dove si sfiora un disperato humour nero, perché più ripetono di voler salvare la ragazza e più le infliggono abusi e brutalità. Quando le monache escono dal convento e arrivano all’ospedale dove la dottoressa di turno constata la morte della ragazza, ecco che si rompe l’incantesimo “medioevale” che domina il clima del monastero e la realtà si afferma in tutta la concretezza del suo orrore. L’orrore di un lungo processo d’indifferenza.

RRoberto Chiesi, Cineforum, n. 520, dicembre 2012

 

 

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