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Scheda pdf (175 KB)
Agorà - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALES.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 25 novembre 2010 – Scheda n. 7 (819)

 

 

 

 

Agorà

 

 

 

 

 

Titolo originale: Agora

 

Regia: Alejandro Amenábar

 

Sceneggiatura: Mateo Gil, Alejandro Amenábar. Fotografia: Xavi Giménez.

Montaggio: Nacho Ruíz. Musica: Dario Marianelli.

 

Interpreti: Rachel Weisz (Ipazia), Max Minghella (Davo), Oscar Isaac (Oreste),

Ashraf Barhoum (Ammonio), Michael Lonsdale (Teone), Rupert Evans (Sinesio),

Homayon Ershadi (Aspasio), Sami Samir (Cirillo).

 

Produzione: Himenóptero. Distribuzione: Mikado.

Durata: 126’. Origine: Spagna, 2009.

 

Alejandro Amenábar

 

Alejandro Amenábar fugge dal Cile con i genitori dopo il colpo di stato di Pinochet nel 1973. Studia a Madrid e a 19 anni dirige il suo primo corto, La cabeza, seguito da Himenòptero (1992) e Luna (1995). Passa al lungo con l’horror Tesis (1996), poi gira Apri gli occhi (1997) e arriva al successo con The Others (2001), horror d’atmosfera. Nel 2004, vince il Gran Premio della Giuria a Venezia e l’Oscar per il miglior film straniero con Mare dentro (visto al Cineforum). Adesso, questo Agorà, storia libertaria, femminile e antifondamentalista.

 

La critica

 

Non capitava da secoli. Si è parlato molto, in questi giorni, di Ipazia: filosofa e matematica, nonché donna attiva in politica nell’Egitto del IV secolo dopo Cristo, provincia romana che, prima dell’Impero, era stata non a caso governata da una donna, Cleopatra. La memoria di Ipazia è da sempre parte integrante del ‘pantheon’ femminista, ma stavolta il motivo scatenante è un film: Agorà, fuori concorso a Cannes 2009, solo ora sugli schermi italiani. E se da un lato il dibattito filosofico e scientifico ferve, dall’altro l’uscita del film è accompagnata da un assordante silenzio della Chiesa, che ha deciso di boicottare Agorà sui suoi mezzi di comunicazione. Bisogna capirli, poveretti: hanno già troppi problemi, di questi tempi, per commentare un film che per altro racconta un’incontrovertibile verità storica. Ipazia, ‘pagana’ non convertita, fu uccisa dai parabolani, la guardia armata del vescovo Cirillo. Costui, poi fatto santo e tutt’ora venerato come tale, era uno spietato uomo di potere i cui sgherri ammazzavano allegramente tutti coloro che rifiutavano di adeguarsi ai nuovi costumi. Nel film, i parabolani ricordano i talebani, e possiamo capire che per la Chiesa avere simili criminali fra i propri ‘padri’ sia fonte d’imbarazzo. Il film di Alejandro Amenabar è molto bello. È un raro esempio di film spettacolare e speculativo al tempo stesso. Non date retta a chi lo liquida come un prodotto hollywoodiano: non lo è. Ipazia è interpretata dall’inglese Rachel Weisz, figlia di genitori austro-ungheresi, e la produzione è quasi totalmente spagnola. Negli Usa, per la cronaca, non è nemmeno uscito. Lavorando sulle immagini ricorrenti del cerchio e dell’ellissi (Ipazia potrebbe aver intuito, qualche secolo prima di Keplero, le orbite ellittiche dei pianeti), Amenabar realizza una ‘falsa biografia’ di un’eroina sulla cui vita ben poco sappiamo. Più che di Ipazia, Agorà parla di un’epoca in cui le religioni si combattono con violenza per assicurarsi il dominio sulle menti dei semplici. Ipazia non era una donna semplice. Vedere il film significa aiutarla, ancora oggi, nella sua lotta per la ragione.

AAlberto Crespi, L'Unità, 23 aprile 2010

 

Il pericolo è donna, dal IV al XXI secolo dopo Cristo. Dipende per chi. C’è la donna che fa paura ai talebani di ogni epoca e un’altra che terrorizza Lars von Trier e simili. Streghe comunque da lapidare o strangolare. Lo spagnolo Alejandro Amenábar, 37 anni, autore di The Others (2001) e Mare dentro (Oscar miglior film straniero 2004) ha presentato fuori concorso Agorà, dedicato alla scienziata e astronoma Hypatia (Rachel Weisz) che si dedicò alla relazione tra filosofia e scienza e per prima intuì che i pianeti compiono un’ellissi intorno al sole. Nel 1600 Keplero arrivò allo stesso risultato. Ma Hypatia solo adesso diventa una ‘star’ nel kolossal che le rende per la prima volta omaggio, un film da 50 milioni di euro, tutto di produzione europea. A prima vista, Amenabar segue un modello hollywoodiano, ma non siamo dalla parte di Cleopatra (gli egiziani però dovevano avere tutti la pelle candida?), il set è uno spazio chiuso nel perimetro che circonda la Biblioteca di Alessandria, scrigno della cultura greca e pregreca, una delle meraviglie del mondo e che sarà in gran parte distrutta. Hypatia, istruita dal padre Teone, è l’anima della biblioteca, la vediamo nel suo peplum bianco insegnare ad allievi adoranti. Ma lei si sottrae alla corte insistente di Oreste, che diventerà prefetto sotto il dominio romano, e alla passione del suo schiavo Davus, studioso anche lui delle stelle. È guerra di religione ad Alessandria, sotto il segno delle vesti sontuose dei pagani, le casacche a strisce degli ebrei e i kaftani neri dei parabolani, fanatici cristiani, squadre della morte, massacratori di pagani ed eretici, al comando del patriarca Cirillo che rivolgendosi ai suoi sgherri pronuncia l’anatema contro i giudei: ‘Piangete per loro, gli assassini di Cristo, perché saranno perseguitati in eterno’ e dà il via al primo pogrom. Agorà è un feroce atto di accusa contro i crociati, e se per i film di Ron Howard sul Codice da Vinci, la Chiesa poteva invocare la fantareligione, qui siamo nella Storia. Precursori dei talebani, gli incappucciati neri allagano nel sangue la città, dopo aver elargito il pane ai poveri e la libertà agli schiavi, sistema noto ai ‘moralizzatori’ integralisti di ogni latitudine. ‘Solo Gesù poteva perdonare perché è Dio, non vorrai paragonarti a lui?’, risponde l’invasato capo parabolano a Davus, l’ex schiavo arruolato nelle file cristiane, vacillante di fronte ai corpi degli ebrei in fiamme. In mezzo alle carneficine di anno in anno, Hypatia, seguace del neoplatonismo, fa appello alla filosofia, all’amore per la conoscenza scientifica, alla convivenza religiosa. È uno spazio ‘teatrale’, l’agorà, il luogo dove Amenabar concentra azione e pensiero, mentre le scene di massa sono elaborate al computer. E nei meravigliosi interni della biblioteca, dove statue e papiri, bassorilievi e arazzi saranno devastati dalle orde cristiane. Religione come pretesto di sopraffazione, come ora, al servizio del potere. L’ultimo ostacolo sarà Hypatia, la donna che ‘parla’, che insegna agli uomini. Lei che osserva il cielo e traccia nella sabbia le parabole celesti. Anche il devoto Oreste dovrà piegarsi alla legge della curia che ha declassato le donne a sottospecie umana, e l’innamorato Davus alla furia assassina dei parabolani, Hypatia invece non si piega, conferma la sua laicità. Nel marzo del 415 viene trascinata al tempio, denudata e uccisa. È la mano di Davus, incapace di ribellarsi a un’altra schiavitù, che la soffoca prima che gli incappucciati di Cristo la massacrino a colpi di pietra. Il corpo di Hypatia straziato come la Biblioteca di Alessandria in un ripetersi di incendi che non si fermano.

MMariuccia Ciotta, Il Manifesto, 19 maggio 2009

 

Dopo sei anni da quel Mare dentro che aveva vinto l’Oscar come miglior film straniero e che, per aver mostrato ragioni a favore dell’eutanasia, si era attirato critiche da più parti, oggi il talentuoso regista spagnolo Alejandro Amenábar torna in sala con Agorà e coraggiosamente omaggia una figura di donna e scienziata, simbolo di un passaggio epocale in cui dal mondo antico si passò a secoli di oscurantismo religioso cristiano. Nata ad Alessandria d’Egitto nel IV secolo d.C., il nome di Ipazia, matematica e astronoma, è stato cancellato dai libri di storia; merito quindi al regista per aver sfruttato il potere del cinema, per aprire un dibattito critico su una figura volutamente eliminata dall’immaginario collettivo. Vissuta nel momento in cui il cristianesimo, da religione abbracciata dai poveri e dagli schiavi per ottenere giustizia sociale, divenne culto ufficiale dell’Impero e condannò e perseguitò la libertà di pensiero altrui, la scienziata, in quanto donna libera, illuminata e democratica, fu vittima innocente di monaci feroci e implacabili che la condannarono a una morte violenta. […] Affascinante il ritratto d’Ipazia che, appassionata, umanissima e moderata, cerca sempre di trovare un punto d’incontro, un dialogo per avvicinare gli animi: «Sono più le cose che ci uniscono, di quelle che ci dividono», dice sempre ai suoi allievi, «siamo tutti fratelli, ricordatelo». Geniale Amenabar lo è quando, invece, fa leggere a Cirillo, il terribile vescovo che la condannerà a morte, durante una predica inferocita, un testo di San Paolo, colui che, personaggio centrale nella costruzione del cristianesimo, fu uno dei primi a sancire l’assoluta inferiorità dell’essere femminile. «Infatti, l’uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna a esser tratta dall’uomo; né fu creato l’uomo per la donna, bensì la donna per l’uomo» (dalla Lettera ai Corinzi 11, 3-10). Ma allora perché alla fine il regista ci delude? I fatti storici raccontano che il vescovo Cirillo ordinò ai terribili monaci parabolani di trascinare Ipazia nella cattedrale cristiana del Cesareo, dove la denudarono, le cavarono gli occhi, la lapidarono, la spellarono con dei gusci di conchiglia e la fecero a pezzi, per poi metterne i resti in alcuni sacchi di iuta, che vennero trascinati per la città fino al Cinerone, dove furono bruciati assieme alla spazzatura. Perché Amenábar non mostra tutto questo e ci fa vedere solo la scena della lapidazione? In questo modo si avvicina la morte della scienziata alessandrina alle molte morti per lapidazione, che purtroppo ancora oggi avvengono in alcuni Paesi islamici. Il regista non è stato abbastanza coraggioso da portare avanti un discorso critico su un pensiero come quello cristiano, che durante tutto il film aveva mostrato come il più feroce, intransigente e radicale, sia rispetto a quello pagano, che a quello giudaico. Peccato.

AAlessia Mazzenga, Terra, 23 aprile 2010

 

 

 

 

 

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