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Lasciami entrare - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 22 aprile 2010 – Scheda n. 26 (811)

 

 

 

Lasciami entrare

 

 

Titolo originale: Låt den rätte komma in.

 

Regia: Tomas Alfredson.

 

 Sceneggiatura: John Ajvide Lindqvist. Fotografia: Hoyte Van Hoytema.

Montaggio: Dino Jonsäter, Tomas Alfredson. Musica: Johan Söderqvist.

Interpreti: Kåre Hedebrant (Oskar), Lina Leandersson (Eli),

Per Ragnar (Håkan), Henrik Dahl (Erik), Karin Bergquist (Yvonne),

Peter Carlberg (Lacke), Ika Nord (Virginia).

 Produzione: Efti, The Chimney Pot. Distribuzione: Bolero Film.

Durata: 114’. Origine: Svezia, 2008.

 

 

Tomas Alfredson

 

Nato a Stoccolma nel 1965, Tomas Alfredson lavora come assistente alla Svensk Filmindustri e per la tv. Nel 2003 debutta con Office Hours. Viene quindi Four Shades of Brown, premiato in molti festival. Il successo internazionale arriva con Lasciami entrare, adattamento dell'omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist. Il film ha vinto il Corvo d'Oro per il miglior film al Festival internazionale del cinema fantastico di Bruxelles. Il suo prossimo film sarà The Danish Girl, basato sulla storia vera di Lili Elbe, primo transessuale ad essersi sottoposto ad un intervento chirurgico di conversione sessuale. Protagonista: Nicole Kidman.

Ecco qualche nota del regista su Lasciami entrare: «1982. Un paese che, malgrado tutto, non si ferma. Nonostante il freddo di febbraio che ha immobilizzato il paesaggio, gelato i laghi e reso i rami degli alberi tesi come corde di violino. Gli uccelli sono volati verso luoghi meno desolati, e gli orsi sono immersi in un profondo letargo. Nonostante tutto ciò, le città continuano a vivere. (...) La gente che abita qui conserva la speranza dell’esatto opposto di tutto ciò. Rincasa, si toglie gli stivali invernali fradici, i maglioni acrilici che crepitano sulla testa, le calzamaglie di nylon smagliate; a terra tappeti consunti da parete a parete, e il ronzio di tutta quell’elettricità. Le madri che faticano nei sobborghi; i padri fedeli che raschiano il ghiaccio dalle loro SAAB; i figli che incuranti dell’oscurità si alzano alle sette e si avviano a scuola. Ognuno legge uno dei due unici giornali al mattino e uno dei due giornali la sera; guarda uno dei due talk show in cui i politici parlano del sommergibile che si è incagliato sulla costa. Due modi di pensare, rosso o blu. Come riescono a sopravvivere a dispetto di tutto questo? Persone incapaci di trovarsi per scambiare calore umano tra di loro, che trattengono le proprie parole e si voltano la schiena per paura di cadere in pezzi come statue, per paura di uccidersi l’un l’altro? Quando la scorsa estate ho letto il romanzo di John Ajvide Lindqvist, ho sentito che dovevo assolutamente condividere questa storia per mezzo di un film. È una sensazione che ti arriva solo da un copione o un romanzo su cento. Molto spesso vi sono parti del materiale che mi afferrano - qui una sensazione, là un dettaglio - e mi spingono a metterci avidamente mano per cominciare a riscriverle. Questa volta però è stato diverso, perché si tratta di una storia che è sia grande letteratura che un fantastico dramma. Malgrado lo sfondo deprimente di una Svezia plumbea, le aspre condizioni sociali, il bullismo e la violenza sanguinaria, lo sento come una romantica storia d’amore con un finale positivo e pieno di speranza. Vi trovo le stesse dinamiche di sfondi scuri in contrasto con primi piani luminosi che sono presenti nei romanzi di Charles Dickens. O nei grandi scrittori di horror. Si tratta di un film d’evasione ricco di pathos sociale e di un’approfondita percezione dell’umanità, in grado di attrarre una vasta audience senza essere né piatto né pretenzioso. Credo infine che la sua assoluta svedesità gli fornisca grandi opportunità di successo internazionale».

Ecco ancora alcune dichiarazioni di John Ajvide Lindqvist, autore del romanzo da cui il film è tratto (ma non leggetele prima di aver visto il film, per non rovinarvi la sorpresa): «Il mio testo tratta dell’amore che fa uscire dall’oscurità; dell’andare a picco e venire improvvisamente salvati da una mano soccorritrice, una mano del tutto inattesa. Tratta di un ragazzo, Oskar, la cui esistenza è stata resa un inferno dalle intimidazioni e dalla vita in una casa caotica, un dodicenne in cerca di riscossa. È soprattutto una storia d’amore. Di come l’amore di Eli libera Oskar, lo porta a guardare a se stesso sotto una luce diversa: non come il ragazzo terrorizzato, la vittima. Di come gli dà il coraggio di alzare la testa per il proprio bene. Eli è però un vampiro, un vero vampiro che vive di sangue. Il titolo attiene a quello che ritengo l’aspetto ‘morale’ più interessante dei vampiri, che debbono essere invitati per entrare a casa tua… Nelle mie storie non c’è eccesso di sangue. È ovvio che qui di sangue ce ne sia, ma io cerco principalmente di descrivere come la gente reagisce quando fronteggia l’Ignoto. La nostra realtà è sottile e fragile. Viviamo le nostre vite cercando la felicità, ma al tempo stesso… una vaga sensazione che in qualsiasi momento tutto ci può essere tolto. Un velo sottilissimo ci separa dalla caduta, dal mostro, dall’oscurità assordante o dall’amore, l’Ignoto. Cosa accade quando esso entra nelle nostre vite? Cosa facciamo? Lasciami entrare è una storia molto romantica, che mette in scena dura violenza, elementi soprannaturali e un lieto fine. È ambientata a Blackeberg, quartiere periferico di Stoccolma, nel 1982. Semplicemente: “Posso entrare?” “Lasciami entrare, per favore.” “Entra.”».

 

La critica

 

«Te lo dico subito, non posso essere tua amica». Molti grandi amori cominciano con un diniego. Quello di Eli e Oskar però non è un amore come gli altri. Perché entrambi hanno 12 anni, anche se come precisa lei «non ricordo più da quanto». Perché Oskar è perseguitato dai bulli della scuola mentre Eli, così fragile in apparenza, è forte e decisa. E perché, come scopriremo poco a poco insieme a Oskar, Eli deve bere sangue umano per vivere. Dimenticate Twilight e qualsiasi altro film di vampiri abbiate mai visto. Lasciami entrare non somiglia a nulla se non forse a Il buio si avvicina di Kathryn Bigelow (1987), del quale condivide il taglio per così dire realistico e il gusto per il lato più sordido e quotidiano dell'horror, con i personaggi costretti dalla loro natura a complicate e sgradevoli manovre per sopravvivere. Qui però siamo nella Svezia del 1982, il gigante sovietico è ancora in piedi, il clima di minaccia che pesa sugli abitanti di Blackeberg, periferia di Stoccolma, non è solo metafisico, anzi. Nei bar circolano losers con problemi di alcol, solitudine, disoccupazione. Nelle case vegetano madri separate con figli variamente infelici. Come Oskar, che colleziona ritagli stampa macabri, e prova allo specchio le mosse con cui sogna di vendicarsi dei suoi persecutori. Fino a quando nell'appartamento vicino non arriva quella ragazzina, Eli; accompagnata da un adulto misterioso e un po' ripugnante che sembra un Robin Williams butterato e rivisto da David Lynch. Sarà il padre, un parente, un tutore, o forse orrore supremo un amante? Lasciami entrare si guarda bene dal rispondere. Portando sullo schermo il romanzo omonimo e in certo modo autobiografico di John Ajvide Lindqvist (Marsilio), il talentuoso Tomas Alfredson ha tagliato le informazioni e infittito il mistero. Servo fedele e adorante, il miserando Håkan procura il sangue a Eli scannando malcapitati nel bosco e appendendoli a testa in giù per non perdere una goccia del liquido. Il resto è affidato alla nostra immaginazione, eccitata da una regia rigorosa e sapiente che fonde a  meraviglia note sentimentali, suggestioni ambientali e impennate horror che gelano il sangue. Dietro quelle nefandezze pulsa infatti una storia d'amore e di crescita (crescita negata, almeno all'inizio) che converte in orrore i misteri dell'eros e la crudezza del sesso. Amore castissimo dunque, anzi angelicato, E non solo perché Eli e Oskar hanno 12 anni. Nel romanzo agisce infatti, esplicitamente, una banda di pedofili, e il vampirismo diventa una trasparente metafora del trauma. Nel film di tutto questo c'è una traccia appena percettibile (il sesso di Eli, che si intravede un attimo, è tagliato in senso orizzontale, come una ferita). In compenso lo schermo si illumina di sentimenti adolescenziali raramente rappresentati con tanta forza e finezza, sfuggendo tanto l'ipocrisia quanto la dittatura del dover-vedere e dover-sapere tutto. Un autentico gioiello, che 'usa' il genere trasfigurandolo in qualcosa di ben diverso (fino a permettersi un'imprevedibile quanto toccante svolta finale). E dal quale si esce turbati come capita di rado.

FFabio Ferzetti, Il Messaggero, 9 gennaio 2009

 

Sarebbe un peccato perderlo, perché questo grande successo che viene dalla Svezia non è solo un film sui vampiri, ma anche una storia di iniziazione all'età adulta. Insomma, non bisogna confondere Lasciami entrare con la serie, ormai abusata, degli hit giovanilistici che sull'argomento non fanno altro che spalmare un po' di romanticismo up to date. Infatti, il pregio maggiore del regista Tomas Alfredson, degno erede di una grande tradizione scandinava del genere, è quello di disegnare i personaggi con una delicatezza degna di Truffaut, per poi immergerli in un'atmosfera nordica, glaciale e magica, come sospesa sugli inevitabili tormenti dei primi approcci tra i sessi. Tutte le componenti tecniche del film sono giocate al meglio, riuscendo così ad andare sempre al di là dei fatti raccontati... che poi riguardano una eterea adolescente, nuova e misteriosa vicina di casa del coetaneo protagonista: si scoprirà ben presto che si tratta di una vampira, ma anche che grazie ai suoi temibili poteri riesce a insegnare al ragazzo quali sono i veri mostri da temere a questo mondo.

VValerio Caprara, Il Mattino, 10 gennaio 2009

 

 

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