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Frozen River - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 18 febbraio 2010 – Scheda n. 17 (802)

 

 

Frozen River

 

 

Titolo originale: Frozen River.

 

Regia e sceneggiatura: Courtney Hunt.

 

 Fotografia: Reed Morano. Montaggio: Kate Williams.

Musica: Shahzad Ismaily, Peter Golub.

Interpreti: Melissa Leo (Ray Eddy), Misty Upham (Lila Littlewolf),

Michael O'Keefe (Trooper Finnerty), Mark Boone Junior (Jacques Bruno),

Charlie McDermott (T.J.), James Reilly (Ricky), Dylan Carusona (Jimmy),

Jay Klaitz (Guy Versailles), Michael Sky (Billy Three Rivers),

John Canoe (Bernie Littlewolf), Nancy Wu (Chen Li),

Adam Lukens (Mitch), Betty Ouyang (Li Wei), Craig Shilowich (Matt).

Produzione: Cohen Media Group. Distribuzione: Archibald Enterprise Film.

Durata: 97’. Origine: Usa, 2008.

 

 

 

Courtney Hunt

 

Nata a Memphis, Tennessee, ha studiato cinema alla Columbia University e realizzato, come lavoro di diploma, Althea Faught, sulla guerra civile americana, premiato in numerosi festival. Il suo primo lungometraggio è questo Frozen River. Dice la Hunt: «Ho scritto il film dopo aver scoperto che delle donne nascondono nel bagagliaio delle loro auto clandestini da portare nello stato di New York guidando sul fiume ghiacciato di San Lorenzo per guadagnare soldi per sostenere i propri figli. Il rischio che corrono mi ha spinto a scrivere una storia, non solo sul traffico di irregolari lungo il confine nord, ma anche sulle circostanze di vita che possono portare qualcuno a correre tali rischi. Ciò che ho scoperto è che l’istinto di una madre a proteggere i suoi figli è più forte di qualsiasi confine culturale, politico o economico. Ray e Lila incarnano la lotta oscura di donne sole di ogni etnia che vivono sull’orlo del baratro».

 

La critica

 

Ignorato agli Oscar come l'altro magnifico Gran Torino, ma premiato al Sundance e al Noirinfestival, Frozen River è un finto giallo in cui il colpevole è la società americana e, come Eastwood, tratta, in modi diversi, il problema della coabitazione morale e razziale. Una madre e moglie coraggio, piantata dal marito che si è giocato al casinò anche la casa, per sopravvivere con i due figli, in una gelata terra di nessuno tra il Canada e New York, incontra una ragazza indiana mohawk che le propone per guadagnare denaro veloce un traffico di clandestini nel bagagliaio dell'auto. Uno schifo l'idea e i personaggi, ma lei è bianca e non sospetta, supporta il viaggio da farsi sul San Lorenzo, un fiume ghiacciato e pattugliato anche il giorno di Natale. Dapprima ritrosa, poi convinta in fretta dal bisogno, la donna si fa uno sconto etico, accetta, promuove con istinto liberal l'illecita causa anche a rischio di finire on ice. Finale con nota di speranza femminile, mentre gli uomini ci fanno tutti pessima figura. Girato sotto zero in 24 giorni, il film si apre e si richiude di continuo alle congetture, diventa sempre diverso, si altera di colore e penetra nel dolore di due donne diversissime ma che formano una coppia straordinaria, trovando un punto di contatto e solidarietà, la stessa espressa dai cittadini di Plattsburgh durante le riprese. Ispirata dalla cronaca l'autrice e sceneggiatrice Courtney Hunt, con discrezione rara, sceglie l'amaro sapore del cinema americano anni 70 coniugandolo all' introspezione di un film all'europea in cui lo sguardo si conficca dentro a sentimenti sotterranei, il nero dei paesaggi della notte si prolunga nell'inconscio della platea, promuove denunce sociali annotate sui due caratteri di donne extra strong. Mentre il mondo cane intorno si deturpa a vista, anche nei desideri dei piccini in attesa della casa prefabbricata, la forza dell'amore materno vince sui troppi comandamenti che la società infrange di continuo: Melissa Leo (sergente in un serial) ha strepitosa misura in un dolore mai gridato e Misty Upham sta al passo esprimendosi con occhi e silenzi.

MMaurizio Porro, Corriere della Sera, 13 marzo 2009

 

Povero, brutto, formalmente indistinto, quasi sciatto, ma costruito intorno a un paesaggio geografico e umano di grande forza, Frozen River (Il fiume di ghiaccio) è il film che ha conquistato Quentin Tarantino presidente della giuria a Sundance 2008, un'edizione del festival di Redford contrassegnata dall'apparizione di un 'nuovo realismo' (la definizione, per prima, fu data dal New York Times) nel frequentemente lezioso cinema indipendente Usa. Il luogo del film di esordio di Courtney Hunt è l'estremo nord dello stato di New York, la linea di confine con il Canada francofono lungo la quale scorre il fiume San Lorenzo. È un panorama di gelido, spietato, biancore, su cui la regista/sceneggiatrice (in realtà nata a Memphis in Tennessee) traccia una storia più nera e indigeribile dell'asfalto - una storia di America depressa prima che la parola Depressione tornasse di moda. Il fatto che manchino solo pochi giorni a Natale, rende ancora più patetico e inguardabile il dilemma di Ray Eddie (Melissa Leo), disertata dal marito che è scomparso dopo essersi giocato al Bingo tutti i soldi destinati a saldare l'ultima tranche di pagamento per un trailer meno miserabile e fatiscente di quello in cui stanno vivendo con i due figli (di 15 e 5 anni) e un enorme televisore a schermo piatto - beffarda finestra su sogni che non si realizzeranno mai. Per racimolare in tempo record la cifra necessaria, Ray (una sigaretta dietro l'altra, il volto grigio, le rughe scolpite con lo scalpello, e la chioma rossa come una fiammata dolorosa di forza interiore) sigla un'improbabile alleanza con un'indiana (siamo nei pressi di una riserva Mohawk) che ha sorpreso nell'atto di rubarle la macchina. In effetti, la situazione di Lila Littlewolf (compatta, bruna, silenziosissima e residente in una roulotte sfasciata in mezzo a un bosco) non è molto migliore della sua: emarginata dall'establishment della tribù, Lila sta cercando di riprendersi la figlia di pochi mesi, sottrattale dalla suocera immediatamente dopo la nascita. Per farlo, accumula mazzette di dollari yankee trasportando immigrati illegali dal Canada in Usa attraverso il territorio franco della riserva. Disperata, dotata di un'auto e soprattutto di pelle bianca - quindi meno appariscente per i poliziotti che pattugliano la zona - Ray diventa l'autista di quella impresa a delinquere. Il passaggio è effettuato guidando sulla superficie ghiacciata e inaffidabile del fiume, un orizzonte abbagliante che inghiotte e poi risputa le due donne a bordo del loro macilento veicolo. Tra loro, c'è diffidenza, risentimento, pregiudizi razziali, persino antipatia che si sciolgono solo - senza parole e molto lentamente - di fronte alla realizzazione di una solitudine e di una battaglia comuni.

GGiulia D’Agnolo Vallan, Il Manifesto, 13 marzo 2009

 

Premiato a San Sebastián, vincitore a Courmayeur e candidato a due Oscar (attrice protagonista e sceneggiatura originale), Frozen River si è conquistato a suon di riconoscimenti una piccola distribuzione italiana. Realizzato inizialmente come cortometraggio nel 2004 per trovare i finanziamenti, racconta di due donne tenaci almeno come la regista esordiente Courtney Hunt. Sul confine tra lo stato di New York e il Canada, segnato dal fiume San Lorenzo, Ray cerca il marito giocatore che l'ha lasciata in miseria. Ritrova la sua auto in mano a Lila, una donna indiana che vive sola in una roulotte nella riserva. Per riavere la vettura, Ray finisce coinvolta nel traffico di clandestini gestito da un gruppo di cinesi dal Canada. Gli immigrati vengono caricati sul bagagliaio di un'auto che poi dovrà varcare la frontiera attraversando il fiume ghiacciato per evitare i controlli. C'è la suspense di un buon thriller che sa evitare soluzioni scontate, ma soprattutto vi si trova l'attenzione per i personaggi ai margini e l'ambiente, sociale e naturale, del miglior cinema indipendente americano. Straordinarie le due interpreti: l'esordiente Misty Upham e l'esperta Melissa Leo, fin qui relegata da Hollywood al piccolo schermo o in ruoli da caratterista.

AAndrea Fornasiero, Film TV, 9 settembre 2009

 

(…) Pakistani e cinesi compressi nel bagagliaio dell'auto del marito di Ray consegnati a loschi figuri molto americani. Lentamente il fiume ghiacciato si scioglierà e l'attività illegale incapperà in eccessive difficoltà pratiche, come in singulti etici che non potranno continuamente rimanere sottotraccia. Gran premio della Giuria al Sundance 2008, due candidature agli imminenti Oscar (miglior sceneggiatura e miglior attrice) e decine di premi in festival di mezzo pianeta fanno di Frozen River uno dei film indipendenti più ammalianti della stagione. La macchina da presa della quarantaquattrenne Courtney Hunt, alla sua opera prima, è lievemente indecisa su come gestire la vicinanza fisica del mezzo ai protagonisti, proprio dopo aver deciso che il paesaggio deve fare significativamente pari e patta con corpi e visi. Ne risulta un film esteticamente ancora di scarsa chiarezza ed esperienza sorretto però da una certa concretezza nell'imporre ritmo sincopato al racconto e da uno script ricco di spunti a raggiera: i vari casi dei clandestini mai trattati in crescendo o rendendoli retoricamente emblematici, lo spigoloso rapporto di Ray con il figlio più grande, quella sorta di autismo fastidioso di Lila. E poi c'è il tema dell'immigrazione clandestina: forte, intenso, penetrante che non può lasciare indifferenti. Melissa Leo, bella faccia segnata e fisico tonico, è sempre stata un'onesta figurante fino all'exploit di Frozen River. Produzione superindipendente sulla quale si è subito gettata la Sony Pictures Classics per distribuirla.

DDavide Turrini, Liberazione, 20 febbraio 2009

 

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