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Grizzly Man- Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA

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in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

PREMIO GRINZANE CINEMA

 

Giovedì  8 maggio 2008 – scheda n. 28 (758)

 

Grizzly Man

 

Titolo originale: Grizzly Man

 

Regia e sceneggiatura: Werner Herzog

 

Fotografia: Peter Zeitlinger. Montaggio: Joe Bini.

Musica: Richard Tompson.

Con: Timothy Treadwell, Amie Huguenard, Franc G. Fallico,

 Werner Herzog, Carol Dexter, Val Dexter, Sam Egli, Willy Fulton,

Marc Gaede, Marnie Geade, Sven Haakanson jr., David Letterman,

Jewel Pawlovak, Kathleen Parker, Warren Queeney, Larry Van Daele.

Produzione: Erik Nelson per Discovery Docs. Distribuzione: Fandango.

Durata: 103’. Origine: Usa, 2006.

 

Il regista

 

Werner Herzog (vero cognome: Stipetic) è nato nel 1942, a Monaco di Baviera. Talento visionario, eccentrico, inquieto. Scrittore, poeta, regista di opere liriche, appassionato viaggiatore a piedi (il resto, per lui, è turismo, cioè una cosa orribile...). Anche le riprese di un film sono un’impresa da affrontare oltre il confine del rischio, per cogliere l’attimo in cui la natura si rivela e ci stupisce. Herzog ha cominciato negli anni ’60 con dei corti e con il film Segni di vita (1967). Poi ci ha stupiti con l’estatico Fata morgana (1970), con l’umanissimo Il paese del silenzio e dell’oscurità sulle persone sorde e cieche (uscito da poco in dvd), con Anche i nani hanno cominciato da piccoli (1969), con l’amazzonico Aguirre il furore di Dio (1972), con il vulcanico (letteralmente!) La Soufrière, con il “volante” La grande estasi dell’intagliatore Steiner (1974, il protagonista è un campione di salto dal trampolino con gli sci), il misterioso L’enigma di Kaspar Hauser (1974), il vampiresco Nosferatu (1978), il sovrumano Fitzcarraldo (1979), l’alpinistico L’oscuro bagliore delle montagne (1985), l’australiano Dove sognano le formiche verdi (1985), il meraviglioso e guerresco Apocalisse nel deserto, Cobra Verde (1990), Grido di pietra (1991), fino agli ultimi, meravigliosi lavori, sospesi tra documentarismo, testimonianza e partecipazione, L’ignoto spazio profondo, Il diamante bianco e questo Grizzly Man, con un uomo che vorrebbe diventare amico degli orsi dell’Alaska...

 

La critica

 

In quasi quarant’anni di carriera, Werner Herzog non ha mai smesso di usare il cinema per mostrare quello che solitamente i film lasciano fuori dall’inquadratura: la fatica vera, la paura, il rischio, la sfida. Ne ha persino girato uno - Kinski, il mio nemico più caro - per raccontare gli scontri (arrivati ad autentiche minacce di morte) che l’avevano opposto all’interprete di alcuni dei suoi capolavori e che inevitabilmente lo spettatore di quei film non aveva potuto vedere. Non è solo un’idea di narcisismo che ha pochissimi paragoni nella storia del cinema (forse Warhol, forse Stroheim), ma piuttosto il sogno di poter realizzare finalmente l’utopia di tutte le utopie cinematografiche: riuscire a dirigere la vita stessa. Cancellare ogni separazione tra realtà e finzione e mettersi in gioco personalmente usando il cinema come campo di prova per dimostrare che l’ambizione del romanticismo tedesco, far coincidere arte e vita, è finalmente possibile. Per raggiungere questo scopo, Herzog non soltanto si è dato obiettivi che sfioravano la follia (far risalire un battello, con la sola forza delle braccia, su una montagna nell’Amazzonia in Fitzcarraldo), se non addirittura il rischio suicida (girare in parete sul Cerro Torre, in Patagonia, per Grido di pietra). Più di una volta si è voluto anche misurare con il titanismo della natura per cercare di «domarlo» con la sua macchina da presa, che si trattasse di un vulcano in eruzione (La Soufrière), dei pozzi di petrolio incendiati dagli irakeni (Apocalisse nel deserto) o di sorvolare la giungla con un pallone aerostatico (White Diamond). Ma mai aveva toccato gli estremi affrontati in Grizzly Man. Il film - chiamarlo documentario sarebbe davvero riduttivo e ingeneroso - racconta la vita di Timothy Treadwell, uno strano ecologista che passò quattordici estati, dal 1990 al 2003, tra gli orsi selvaggi dell’Alaska. Per difenderli, sosteneva lui, anche se gli unici «disturbatori» erano pochi turisti che si tenevano a rispettosa distanza da questi pericolosi animali. O per una strana pulsione autodistruttiva, pensa Herzog, che spinse Treadwell a «misurarsi» con gli orsi sul loro stesso terreno e che potrebbe essere all’origine della sua straziante morte: sbranato insieme alla sua fidanzata nell’ottobre del 2003. Ad aumentare il fascino di questo strano personaggio contribuiscono poi le riprese video che Timothy fece nei suoi ultimi soggiorni in Alaska: una specie di auto-messa-in-scena, dove «recita» se stesso davanti a un video lasciato acceso su un treppiede, quasi una parodia delle origini del cinema (dove non esiste regista) ma vivificato dall’irruzione della realtà (l’orso in secondo piano non recita certo e in gioco c’è sempre la vita). In Grizzly Man Herzog utilizza questo materiale e lo alterna a interviste con le persone che avevano conosciuto Treadwell o avevano lavorato con lui. Ma si capisce subito che quello che lo interessa davvero non è il ritratto di una specie di «martire» della natura, né la ricostruzione di una disgrazia. È come se in quella storia Herzog vedesse se stesso e la sua filosofia di cineasta e, interrogandosi, chiedesse allo spettatore di riflettere sul cinema e sui suoi limiti. Pur se girate in maniera scolastica o peggio, le riprese di Treadwell possedevano quello che filmati molto più elaborati non sfioravano nemmeno: la forza della realtà. Ma denunciavano anche l’unicità e l’irripetibilità di quell’esperienza, tanto «estrema» da finire (inevitabilmente?) con la morte. Arrivando così a ribadire che il cinema ha dei limiti che neppure un cineasta come Herzog può superare. Tanto è vero che dopo aver ascoltato la registrazione sonora dell’attacco dell’orso assassino e delle grida di Treadwell, lo stesso Herzog non solo sceglie di non metterla nel suo film, ma consiglia chi è in possesso di quei nastri di distruggerli. Questione di morale della visione, certo, ma senza perdere di vista il senso del cinema. Altrimenti perché imbarcarsi in questo film? Perché, come dice la voce off del regista, «mentre guardiamo gli animali nella loro scelta di vivere, nella loro grazia e ferocia, un’idea si fa sempre più strada: queste immagini non sono tanto uno sguardo sulla natura, quanto piuttosto su noi stessi, sulla nostra natura». È qui che il cinema può ritrovare il suo senso e ce lo dice con tutto lo strazio e l’angoscia possibile. Come è già accaduto in passato, Herzog finisce quasi per scontrarsi con il soggetto dei suoi film, per tenerlo a distanza. È un po’ il destino di quei pochi, grandi cineasti che non vogliono percorrere strade risapute, e corrono il rischio del vicolo cieco. Come in Grizzly Man, dove c’è il fascino dell’evento irripetibile (quale altro «attore» morirebbe davvero?) ma anche la speranza, parlando di morte, che lo spettatore possa capire un po’ di più le ragioni della vita.

PPaolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 24 novembre 2006

 

Attenzione: capolavoro in arrivo. Grizzly Man, uscito in America nel 2005 e passato al Torino Film Festival dello stesso anno, arriva finalmente nelle sale italiane distribuito dalla Fandango. È un documentario, ma non fatevi fregare: andate a vederlo e rimarrete sconvolti. Perché è diretto da Werner Herzog, il grande regista tedesco che dopo aver firmato capolavori di finzione negli anni 70 e 80 (Aguirre, La ballata di Stroszek, Nosferatu, Fitzcarraldo) sta riscrivendo le regole del cinema documentaristico. E perché racconta la vera, incredibile storia di Timothy Treadwell, un uomo che negli Stati Uniti era diventato piuttosto popolare (era stato diverse volte da David Letterman e in altri talk-show televisivi) per la sua singolare mania. Timothy amava i grizzly, i giganteschi orsi dell’estremo Nord americano: aveva creato una fondazione per proteggerli (potete saperne di più visitando il sito www.grizzlypeople.com) e per 13 anni ha passato le sue estati vivendo in mezzo a loro in un parco nazionale dell’Alaska. Si era convinto di essere diventato loro amico: forse, addirittura, di «essere» un orso. Finché un orso più feroce o più affamato degli altri, che non lo conosceva, lo ha ucciso. Timothy e la sua ragazza sono stati infatti divorati da un grizzly che poi è stato abbattuto. Il sonoro della tragedia (non le immagini, per fortuna) rimasero immortalati sulla videocamera che portava sempre con sé: Timothy aveva infatti l’abitudine di filmarsi durante le sue «avventure fra gli orsi», e dopo la sua morte furono trovati filmati per centinaia di ore. È su questo straordinario materiale che ha lavorato Werner Herzog: Grizzly Man è un film al 70% girato da Treadwell, ma il grande cineasta tedesco ha montato i filmati, ha aggiunto alcune interviste (impressionante quella al coroner che esaminò i resti) e una voce fuori campo nella quale dà la propria interpretazione di questa storia. Timothy Treadwell diventa così, a pieno titolo, uno dei «folli» raccontati da Herzog nei suoi film, un uomo che sfida la civiltà e passa il periglioso confine che ci separa dai mondi selvaggi. Film, ripetiamo, straordinario.

AAlberto Crespi, l'Unità, 24 novembre 2006

 

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