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Il lago delle oche selvatiche - Locandina del film
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Il lago delle oche selvatiche - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 25 novembre 2021 – Scheda n. 5 (1088)

 

 

 

 

 

Il lago delle oche selvatiche

 

 

 

Titolo originale: 南方车站的聚会 - Nánfāng chēzhàn de jùhuì

(trad. lett. Appuntamento alla stazione sud)

 

Regia e sceneggiatura: Diao Ynan

 

Fotografia: Dong Jingsong. Musica: B6.

 

Interpreti: Hu Ge (Zhou Zenong), Gwei Lun-mei (Liu Aiai),

Liao Fan (capitano Liu), Wan Qian (Yang Shujun), Qi Dao (Hua Hua),

Huang Jue (Yan Ge), Zeng Meihuizi (Ping Ping),

Zhang Yicong (Xiao Dongbei), Chen Yongzhong (cliente).

 

Produzione: Li Li, Green Ray Films, Maisong, Memento Films.

Distribuzione: Movies Inspired.

 

Durata: 113’. Origine: Cina, 2019.

 

 

Diao Ynan

 

 

Diao è il cognome. Regista e sceneggiatore cinese, nato a Xi’an nel 1969, fa parte della cosiddetta ‘sesta generazione’ di cineasti cinesi, come il più celebre Jia Zhangke. Si è

diplomato alla Central Academy of Drama di Pechino nel 1992, prima di passare dietro la macchina da presa. Ha diretto due film, Zhìfú (2003), notevole successo in patria, e Yè chē (2007), presentato nella sezione Un Certain Regard al festival di Cannes. Nel 2014 arriva il suo primo importante riconoscimento a livello mondiale: vince l’Orso d’oro per il miglior film al festival di Berlino con Fuochi d’artificio in pieno giorno, visto al Cineforum, un poliziesco che mette un poliziotto sulle tracce di un serial killer che uccide tutte le persone legate a una donna. Poi è arrivato questo Il lago delle oche selvatiche.

Ascoltiamo il regista. «Ho definito questo mio film ‘il contrario dell’utopia’. Ho cercato di rappresentare l’opposto dell’utopia, la distopia, ovvero quell’area grigia fatta di bar malfamati, prigioni, rovine, cimiteri, villaggi all’interno delle città. Un fenomeno molto cinese. In questi luoghi a volte le persone sognano davvero e mi sono chiesto che tipo di avventure possono prendere origine proprio lì...

Questo film è, in gran parte, un noir, ma c’è anche del realismo: ci sono scene di ladri che si incontrano, di piccoli imprenditori che si riuniscono, quello che chiamo ‘paesaggio sociale’. Ma il film esalta di più il linguaggio cinematografico puro: il racconto si fa più esile e semplice, permettendomi di esplorare maggiormente l’aspetto formale e il contenuto semplificato serve soprattutto a mostrare stili diversi. Uso tutti gli abituali strumenti del film d’autore per realizzare una sorta di film commerciale: questo è stato il mio approccio generale. Per capirci, è come se Sergio Leone avesse girato un film di Michelangelo Antonioni, ovvero come se il defunto e grande regista King Hu, campione dei film d’azione cinesi anni Sessanta e Settanta, girasse un mio film...

Ho cercato i miei attori nei posti giusti: qualche anno fa, c’era chi si guadagnava da vivere rubando motorini con grande destrezza; allora era un’attività redditizia, oggi non più; alcuni attori del mio film erano appena usciti di prigione nel momento in cui abbiamo fatto le riprese, ed erano stati reclusi proprio per aver rubato questi scooter...

Quella della prostituta o, meglio, la peiyongnv (bellezza al bagno) è una vera professione. Una volta, viaggiando, ho visto queste donne che facevano il bagno e intrattenevano uomini. Di solito provengono da ambienti poveri, e il motivo di questa professione è soprattutto economico: per andare con un cliente non ti serve una stanza, gli affari si concludono in acqua e nessuno vede che succede. Comunque è difficile e usurante, devono trascorrere molte ore in mare e in spiaggia...

Uno dei film che mi hanno ispirato è M – Il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang, per come inserisce stili diversi nel film. C’è anche Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock, di cui da sempre ammiro la suspense: ho provato a mutuarne qualche elemento nel mio lavoro...

C’è anche un ombrello usato come arma letale: ma state tranquilli, è solo una mia immaginazione, non succede nella vita reale!...

La Cina oggi è terreno fertile per il crime noir, i film noir con delitti. In origine il genere noir era prerogativa di film commerciali, ma la crescente sperequazione tra chi ha tutto e chi niente, tra ricchi e poveri nella Cina attuale alimenta il crimine e dunque apre al crime sul grande schermo: il realismo sociale rivendica il genere, il noir riflette ciò che accade oggi...

Mi sono messo a scrivere la sceneggiatura, che ha richiesto due anni di lavoro, cercando di rimanere sempre ben ancorato alla realtà. Un esempio: una ‘assemblea nazionale di ladri’ si è davvero tenuta a Wuhan nel 2012, con delegati provenienti da tutto il paese. Sono stati denunciati e, quando la polizia è arrivata, erano nel pieno della spartizione dei territori, di fronte a una cartina della città! Quando ho letto questa storia sono scoppiato a ridere e ho pensato che sarebbe stata una scena formidabile, incredibilmente satirica...

La prima immagine che mi è venuta in mente è stata quella dell’incontro tra un uomo e una donna in una piccola stazione di periferia, in una notte di pioggia. Questa immagine dava il tono del film ed era diventata quasi un’ossessione, al punto che non c’era altra scelta: doveva aprire il film. Per sviluppare il seguito, l’uso dei flashback era inevitabile. Mi ha influenzato anche la concezione dello spazio nell’opera pechinese, per la libertà con cui le scene si susseguono. In un film mi piace giustapporre stili diversi, a seconda della mia percezione della realtà. Volevo che il film fosse molto moderno, non-psicologico, e che l’idea prendesse corpo soprattutto attraverso il gesto e il movimento...

Conosco bene le grandi città cinesi, nelle mie storie risuona la vita reale di quelle città. Volevo rappresentare il jianghu, il mondo sotterraneo della criminalità e della marginalità che vive nelle periferie in continua espansione delle grandi città cinesi, si può considerare una scelta romantica, perché il romanticismo più profondo esiste solo nel jianghu. Un film poliziesco non può certamente fare a meno dei poliziotti, e neanche il jianghu. Ma i miei poliziotti sono in borghese, perché si confondano con il jianghu e non in uniforme, che rappresenta l’immagine pulita e istituzionale dell’autorità. Per me le forze dell’ordine e il jianghu fanno parte di un unico mondo, sono indispensabili gli uni agli altri e inseparabili. Penso che il romanticismo dei film noir occidentali sia simile a quello dei film di cappa e spada cinesi, i wuxiapian, anche se il wuxiapian privilegia un piano poetico ed estetico, mentre il noir privilegia il tema del destino, dell’oscurità e del desiderio. Qui gli eroi hanno debolezze e paure, la ‘cavalleria’ (xia) e la ‘virtù’ (yi) non sono una questione di disciplina o di solenni giuramenti, ma emergono da un incontro imprevisto, dalle emozioni e dai desideri che investono il personaggio...

Volevo un film pieno di immagini d’acqua o, meglio, di immagini di donne e acqua. Mi ricordavo di alcune fotografie in bianco e nero viste in passato, in particolare la foto di una donna con un sorriso misterioso, distesa sulla prua di un’imbarcazione, e sullo sfondo lo scintillio dell’acqua. È così che si è naturalmente imposta la figura della ‘bagnante’. Qualche anno fa avevo visto le ‘bagnanti’ in una cittadina balneare e dopo ho scoperto che questa forma di prostituzione a buon mercato esisteva anche nelle città lungo il Fiume Azzurro. Dunque, la storia prevedeva un lago nei pressi di una città. La regione di Wuhan [quella da cui è partito il covid!, ndr] conta numerosi jianghu (letteralmente: fiumi e laghi): questa espressione in cinese indica anche tutti coloro che vivono fuori dalle regole sociali dominanti: mendicanti, giullari, indovini, cavalieri erranti e malavitosi, guaritori ed esperti di arti marziali».

 

 

La critica

 

 

Come in un musical, il regista cinese Diao Yinan allestisce le scene del suo nuovo noir metropolitano giocando con gli elementi espressivi del cinema: gli spazi, le luci, le forme, il movimento. Le scene d’azione e di violenza di Il lago delle oche selvatiche sono numeri coreografati e spesso esaltanti, idee che si susseguono in maniera inarrestabile e quasi pedante: numeri con la pioggia, con le ombre, con il buio, con le luci al neon, con gli oggetti (un muletto, un ombrello, una pistola artigianale); sequenze costruite con il montaggio alternato, singole scene che rimano fra loro ribadendo a più riprese una circolarità e un’interscambiabilità di situazioni e personaggi. La storia è esile, quasi un pretesto: un criminale in fuga, braccato dopo aver ucciso per sbaglio un poliziotto durante un regolamento di conti fra bande di ladri di motociclette, decide di farsi denunciare dalla moglie per farle riscuotere la taglia sulla sua testa; al posto della sua donna, però, all’appuntamento fissato si presenta una sconosciuta, una ‘bagnante’ che lavora come prostituta sulle spiagge del lago delle oche e che lo aiuta a mettersi in salvo dalla polizia. Tutto comincia dunque a partire da un abbaglio, in una storia di fuga e di accerchiamento in cui ogni figura è sostituita o potenzialmente sostituibile (a cominciare dalle due donne del protagonista, per finire con le squadre di polizia il cui movimento in branco è identico a quello delle bande di ladri) e in cui il vero punto d’interesse sono gli spazi della Cina contemporanea. Dopo Fuochi d’artificio in pieno giorno, vincitore a Berlino cinque anni fa, Diao Yinan, al suo quinto lungometraggio, svela ancora una volta un talento fuori dal comune nell’uso della profondità di campo e nel cogliere il legame fra i personaggi e l’ambiente (là erano le miniere di carbone e una città in pieno inverno, qui una cittadina lacustre e lunghe notti piovose), con la caccia al fuggitivo che si dispiega nei mercati, nei cortili, nei palazzi e nelle stazioni di una provincia cinese brulicante di lavoro, corruzione e movimento. Non essendo Jia Zhang-ke, Diao Yinan non insiste sulle contraddizioni sociali del suo paese, ma le mette a lato del suo film, o meglio ne fa il fondale vivo di una rappresentazione collettiva che coinvolge un intero popolo. Ruoli e funzioni non a caso si mescolano e si ribaltano di continuo, lasciando al cinema il compito – un po’ manierato a dire il vero – di far emergere con tutti i mezzi a disposizione la trama criminale. È gratuito sì, ma bellissimo da vedere.

RRoberto Manassero, 12 febbraio 2020, cineforum.it

 

 

 

 

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Cattive acque

 

 

di      Todd Haynes

 

 

 

 

 

Siamo nella corrente classica del cinema di impegno civile americano. Ma in questo Cattive acque non c’è giustizia consolatoria. Il retrogusto è malsano e putrescente.

Todd Haynes (Safe, Velvet Goldmine, Lontano dal paradiso, Io non sono qui, Carol...) lavora su un caso reale di inquinamento provocato dalla DuPont. Protagonisti un agricoltore e un avvocato (più il teflon!).

Ritmo incalzante, atmosfera tesa, un avviso (inascoltato?) per il genere umano.

Durata: 126 minuti.

 

 

 

Giovedì 2 dicembre, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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