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La Cordigliera dei sogni - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 11 novembre 2021 – Scheda n. 3 (1086)

 

 

 

 

 

 

 

La Cordigliera dei sogni

 

 

 

Titolo originale: La Cordillera de los sueños

 

Regia e sceneggiatura: Patricio Guzmán

 

Fotografia: Samuel Lahu. Musica: Amanda Brown.

 

Interpreti: Jorge Baradit, Vicente Gajardo,

Francisco Gazitúa, Pablo Salas.

 

Produzione: ARTE, Atacama Productions. Distribuzione: I Wonder Pictures.

Durata: 84’. Origine: Cile, Francia, 2019.

 

 

Patricio Guzmán

 

 

Nato nel 1941 a Santiago del Cile, Guzmán è uno dei grandì registi latinoamericani. Ha studiato cinema, ha esordito con The first year, un documentario sul governo Allende. Dopo il colpo di stato di Pinochet è stato imprigionato nello stadio di Santiago. Si è rifugiato nel 1973 in Francia dove ha continuato la produzione di documentari sul suo Paese. Ha diretto la trilogia La battaglia del Cile (1975-1979) con i materiali girati in Cile e portati in Francia. Ha girato Il caso Pinochet (2001), Salvador Allende (2004) e infine tre film legati tra loro, tutti sul suo paese: Nostalgia della luce (2010), vincitore di un European Academy Award, La memoria dell’acqua (2015) e questo La Cordigliera dei sogni (2019). È professore in diverse scuole di cinema. È stato fondatore e direttore del Santiago Documentary Film Festival. Vive a Parigi.

Sentiamo Guzmán. «Ho girato molti documentari. È la mia maniera di fare cinema. Penso che un paese senza documentari è come una famiglia senza un album di foto...

Dopo Nostalgia della luce e La memoria dell’acqua, anche ne La Cordigliera dei sogni la natura conserva la memoria delle vittime. Le fa in qualche modo tornare in vita anche al cospetto di chi non le vuole vedere. Il potere tende invece a farcela dimenticare, se non a distruggerla, la natura. Penso che per il Cile la Cordigliera sia una frontiera enorme, un vero muro. Da una parte rappresenta il punto in cui finisce il paese, dall’altra è la barriera che lo separa dall’Oceano Pacifico, anch’esso un’immensità enorme e terribile. Dunque, noi siamo in questo corridoio tra il mare e la montagna e questo è un modo molto interessante di considerare la Cordigliera...

I cileni sono un popolo incredibilmente sensibile e capace di inventarsi un modo di vivere in un territorio difficile, quello tra la Cordigliera e il mare; considerando anche che a nord di Santiago c’è un deserto, quello di Atacama, altrettanto inospitale. Siamo un popolo attaccato al nostro territorio, alla terra, alle vallate, alla montagna... Credo ci sia una cospicua parte della popolazione che parla della Cordigliera, riuscendola a sentire. D’altronde è una montagna veramente grande, che occupa buona parte del territorio del nostro paese. Lo vediamo dai contenuti e dalle parole della nostra vita quotidiana in cui è sempre presente. Ma Santiago ha milioni di abitanti; è una città moderna, dove ci sono tante cose da fare, tanti percorsi da coprire. Quindi non ci si pensa. La si dimentica. Ma se tu inizi a parlarne con qualcuno, all’improvviso i ricordi della Cordigliera si manifestano chiari alla memoria. Così fa il mio film, addentrandosi un poco alla volta nelle sue propaggini, considerandone le cime come lo si farebbe in un viaggio intorno ad esse. A poco a poco nella Cordigliera le montagne vi diventano protagoniste come già lo sono nei libri di storia e nelle fotografie...

Viverci dentro però è un’altra cosa. La Cordigliera dei sogni è una sorta di recherche proustiana perché è attraverso gli elementi del paesaggio, i suoni, i colori e i sapori che la memoria del passato viene a galla. Al suo interno non ci sono città, anche se una parte di Santiago si estende al suo interno, iniziando a salire di quota. Dunque siamo vicini ad essa, ma lontani... La Cordigliera è una montagna enorme: non un paesaggio, ma piuttosto un muro, e in quanto tale violento. Non è possibile vivere accanto a queste altezze, sono troppo elevate, anche a quote minori. Come paesaggio è bello in fotografia ma non è un amico vicino e cordiale. Arrivo persino a dire che è una persona di cui diffidare...

Tutta la storia del Cile è legata alla montagna, però è difficile sapere come interpretare questo legame. Tutti i libri ne parlano. Sia oggi che nel passato, quando si parla del paese si cita sempre la Cordigliera. Nei documenti la montagna è più presente del mare, anche se quest’ultimo occupa 5.000 km di costa. Succede perché il mare non lo si conosce, è un mistero, è un compagno imponderabile. La montagna invece sì. È più vicina, la ascoltiamo quando piove, quando c’è la tormenta ne udiamo l’eco. L’oceano è sconosciuto, non è sfruttato, non c’è una pesca industriale, nessuno prende un’imbarcazione per andare da sud al nord perché si preferisce utilizzare l’aereo. L’oceano è un altro mistero: sarebbe un bel soggetto per un altro film...

Ogni volta che lavoro su una sceneggiatura è sempre la stessa cosa. È come andare sul fondo. Da qui al Cile. Da anni vivo lontano dal mio paese; ciononostante, quando me ne occupo, è come scendere in profondità, dalla terra al profondo del mare. Nel momento in cui questo succede, comincia il film. Non so come si possa descrivere questo viaggio, ma credo che tale immersione per me rappresenti la vera porta di accesso al Cile. È come se avessi un paracadute che mi permette di volare via ogni volta che finisco le riprese. Sparisco. È strano questo, ma credo che ciascuno di noi viva una relazione complessa con il luogo in cui è nato...

Oggi il panorama sociale e culturale del Cile è cambiato in maniera straordinaria: l’ottanta per cento della popolazione è contro questo ingiusto militarismo neo liberale, e questo per il Cile costituisce una formidabile immagine da offrire al mondo. È un fenomeno presente in tutti i paesi europei. È un processo strano, militante ma non politico. Ed è sempre nuovo... In Cile c’è anche un cinema con nomi nuovi. Il più conosciuto è Pablo Larraìn. Amo molto il secondo film di Larraìn, Tony Manero e ammiro in generale il suo lavoro. Ciò detto, penso che il cinema documentario abbia un’altra dimensione rispetto alla fiction. Quest’ultima non è il mezzo esatto per mostrare la situazione del Cile di oggi. Si possono creare simboli, metafore delle sue questioni, ma penso che la realtà del Cile di oggi sia più importante di qualsiasi altra cosa».

 

 

La critica

 

 

La catena montuosa è un fondale tetro e imperioso, un’icona introiettata nell’immaginario di un paese. Ma le Ande rappresentano anche un punto di vista panottico, una trasposizione territoriale dell’età matura di Guzmán, da cui il cineasta può muovere una riflessione calma ma sofferta su ciò che è stato del paese in cui è nato, cresciuto e da cui è dovuto scappare. “Col passare degli anni, ho rivolto lo sguardo alle montagne” pronuncia la sua voce ruvida e quieta, centellinata per tutta la durata del documentario in una dolorosa immersione nel ricordo. Come se con il tempo si fosse stancato di accontentarsi di guardare ad altezza d’uomo, quella del deserto di Atacama (Nostalgia della luce, 2010) o di quello più a sud della Patagonia (La memoria dell’acqua, 2015). Infatti, la regia di Guzmán decide di partire proprio dai paesaggi rarefatti delle vedute aeree, prima di muoversi con morbidezza e disinvoltura verso il dettaglio metropolitano di una Santiago in cui resiste ancora nitida la ferita storica della dittatura di Pinochet. Ecco quindi che la storia minerale delle rocce lascia la parola a quella nazionale e quindi inevitabilmente personale del regista, restituita da un monologare strettamente autobiografico ma comunque influenzato dalle venature magico-oniriche del territorio vissuto da bambino; e sembrano proprio quelle “rovine dell’infanzia” ad andare a comporre un ritratto commosso, arrabbiato e profondamente non intenzionato all’accettazione di ciò che è stato. La cordigliera dei sogni è un racconto che non si accontenta di raccontare la dittatura, decidendo di arrivare a toccare i giorni nostri, passando per il proseguo neo-liberista di una nazione che ha svenduto il suo territorio e le sue ricchezze durante la ripresa economica e che si trova oggi minata nella sua identità culturale. Di fatto, la cordigliera è un agente isolante, una separazione dal resto che dovrebbe unire ciò che sta al suo interno, ma oggi, come Guzmán dichiara in apertura, i cileni vedono le Ande solo negli affreschi della metropolitana, o nelle confezioni dei fiammiferi. Dunque anche il sostrato naturale che domina la realtà cilena è di fatto depotenziato nei suoi aspetti identitari, sdoppiato tra originale e sua rappresentazione e forse irrimediabilmente scisso. Proprio questa natura di bivio, di crocevia, di doppia strada, si riverbera anche nel racconto intimo della vita di Guzmán. Lui che, fatto prigioniero politico e costretto a fuggire per salvare le bobine de La battaglia del Cile (1975) non ha più fatto ritorno in pianta stabile nel suo paese, decide di intervistare Pablo Salas, un collega cineasta che invece è rimasto e ha filmato chilometri di pellicole e fiumi di terabyte di proteste sociali e scontri armati. In questa sequenza si evince l’importanza del cinema come documento, inteso, se non come antidoto, almeno come importante strumento di ricognizione storica, di partecipazione attiva alla vita politica, di opposizione alla propaganda dei media più asserviti, di “scrittura della storia futura”. Non è un caso se, durante i crudi filmati d’archivio di Salas, la voce di Guzmán tace per far parlare le immagini, frammenti di un periodo che non ha potuto vivere in prossimità della sua gente, del suo popolo. E in fondo, l’aspetto più delicato e convincente di quest’ultima densa opera documentaria del regista cileno è proprio questo: il sentimento di insanabile sofferenza riguardo a quella separazione forzata. Una ferita traumatica, abbracciata con una totalità di sguardo tipica dei grandi documentaristi, che sembra comprimere nell’autore la contraddittorietà della cordigliera dei sogni: da una parte l’abbracciare il Cile, il dedicargli un’intera carriera artistica, dall’altra restarne ineluttabilmente distante e separato.

MMatteo Bonfiglioli, 14 giugno 2021, cineforum.it

 

 

 

 

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di      Taika Waititi

 

 

 

 

Il regista neozelandese Taika Waititi è cresciuto nell’area di Raukokore, nell’Isola del Nord, suo padre è un māori della tribù Te Whānau-ā-Apanui, sua madre è ebraica russa.

Lui in questo singolare film parla di nazismo, di Hitler e della Shoah. E interpreta la figura dell’amico immaginario, cioè Hitler stesso.

Un romanzo di formazione che è anche una favola nera. Come passare dalla propaganda alla realtà? Un film da equilibrista...

Durata: 108 minuti.

 

 

Giovedì 18 novembre, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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