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Scheda del film 185 Kb)
I Miserabili - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 28 ottobre 2021 – Scheda n. 1 (1084)

 

 

 

 

 

I miserabili

 

Titolo originale: Les Misérables

 

Regia: Ladj Ly

 

Sceneggiatura: Ladj Ly, Giordano Gederlini, Alexis Manenti

Fotografia: Julien Poupard. Musica: Pink Noise

 

Interpreti: Damien Bonnard (Stéphane Ruiz), Alexis Manenti (Chris),

Djibril Zonga (Gwada), Issa Perica (Issa),

Al-Hassan Ly (Buzz), Steve Tientcheu (il sindaco),

Almamy Kanouté (Salah), Nizar Ben Fatma (lo spilorcio),

Raymond Lopez (Zorro), Jeanne Balibar (la commissaria)

 

Produzione: Toufik Ayadi, Christophe Barral, Srab Films. Distribuzione: Lucky Red, Mio Cinema

Durata: 103’. Origine: Francia, 2019.

 

Ladj Ly

 

Classe 1978, Ladj Ly, figlio di immigrati del Mali, è cresciuto a Montfermeil, un  sobborgo di Parigi dove ha girato il suo film e dove Victor Hugo aveva ambientato una parte del romanzo: è lì che Jean Valjean incontra Cosette.

Ly ha frequentato corsi di cinema e girato doc nel suo quartiere. Del 2007 è 365 jours a Clichy-Montfermeil e del 2017 è un cortometraggio intitolato Les Misérables che nel 2019 si è allargato fino a diventare questo suo primo lungometraggio, selezionato per rappresentare la Francia agli Oscar. Stile registico vigoroso: un critico l’ha definito “tra Spike Lee e il neorealismo”. Ly ha anche girato, nel 2018, un bellissimo documentario, A voce alta - La forza della parola, su un’annuale gara di eloquenza tenuta all’Université Paris-VIII fra studenti di diverse provenienze sociali e culturali.

Sentiamo il regista: «Non bisogna dimenticare che i tre quarti delle persone che vivono a Montfermeil, in questi complessi residenziali, sono francesi. Ora, abbiamo l’impressione che ci siano diverse classificazioni di cittadinanza. Ma siamo tutti francesi, punto e basta. Quindi, accettateci come francesi...

Io non so se nel film prendo una vera posizione, se voglio prenderla. Io vengo dal mondo del documentario, ci tengo a quel mondo. Mi interessava raccontare la mia storia con più fedeltà possibile alla realtà, non prendere una posizione piuttosto che un’altra... Sono quartieri molto poveri, dove in molti non arrivano alla fine del mese. Sono state messe in atto azioni di sostegno e aiuto per le banlieues [le periferie, ndr], una delle quali io sostengo personalmente: portiamo derrate alimentari ai più poveri. C’è tantissima gente allo stremo, è una vera e propria polveriera, è l’inizio di una situazione molto complicata che rischia di degenerare. In questi mesi c’è stata poi molta violenza da parte della polizia, e i bersagli sono sempre le persone più povere...

Secondo me non tutti i mali vengono per nuocere, anche qualcosa di negativo può portare a qualcosa di positivo. Abbiamo visto molta gente aiutare i propri vicini, il proprio prossimo. Qualcosa che abbiamo un po’ dimenticato. Questa crisi è l’occasione per cambiare. Questo virus può colpire chiunque, non conosce distinzioni di classe sociale, e io spero che ripartiremo in una direzione diversa. Anche se l’umanità è talmente folle che il rischio è che ricada negli stessi errori, dimenticando quello che è accaduto...

I “cattivi coltivatori” della frase di Victor Hugo che si legge alla fine del film, sono i poliziotti. La polizia fa paura perché pensa di avere carta bianca e di potersi permettere tutto. Anche i politici sono responsabili della situazione che viviamo in questo momento, di come è stata gestita male la crisi. Siamo una potenza mondiale ma non riusciamo a trovare le mascherine... I personaggi dei poliziotti sono tutti diversi, uno rappresenta il peggio, la feccia: ne esiste uno in ogni quartiere. C’è un altro poliziotto che invece è cresciuto lì, nel quartiere, e cerca di mediare. C’è poi la recluta, che viene presa nella morsa, stritolata dal sistema...

I miserabili inaugura una trilogia: nel primo film siamo tra il 2010 e il 2020, poi ci sarà un altro film politico che torna indietro negli anni, anche durante la rivolta del 2005; il terzo episodio ci porterà negli anni ’90, ma non vi svelo altro».

 

 

La critica

 

Victor Hugo con I miserabili aveva cercato di mettere in un libro “il destino e in particolare la vita, il tempo e in particolare il secolo, l’uomo e in particolare il popolo, Dio e in particolare il mondo”; l’ispirazione della prima opera di finzione di Ladj Ly (dopo la coregia del bellissimo documentario A voce alta – La forza della parola) è dunque dichiarata fin dal titolo che ricalca letteralmente quello di uno dei monumenti della storia della letteratura e non solo perché è ambientato nella Montfermeil dove Hugo fa muovere parte dei suoi personaggi intorno alla locanda dei Thénardier. La vocazione – vedi ambizione – del giovane regista nato e cresciuto nella stessa banlieue, è infatti realizzare un affresco storico, sociale, politico (come lo era d’altra parte anche il documentario sulla competizione di arte oratoria all’università di Saint-Denis) e di metterlo, questa volta, in forma di finzione narrativa. Per questo Ladj Ly sceglie di calare la sua materia nel poliziesco e di farlo spingendo sugli stilemi del genere (inteso in una declinazione action decisamente più americana che europea) che adatta a mettere in scena la vita dei quartieri della periferia parigina. Il destino, la vita, il tempo e soprattutto l’uomo sono al centro del racconto che ruota intorno a tre flic incaricati di tenere sotto controllo la situazione tra i casermoni di periferia in cui l’equilibrio è sempre sul punto di saltare. I tre (uno nero e uno bianco radicati, ognuno a suo modo, nelle dinamiche del quartiere, e poi il novizio appena trasferito da Cherbourg), a bordo della loro Peugeot grigia si muovono nel dedalo degli hlm [habitation à loyer modéré, abitazioni con affitto calmierato, ndr] tra le vie ingombre di detriti, il campo da calcio, i giardinetti, l’ufficio del cosiddetto “sindaco”, il kebabbaro punto di riferimento della comunità islamica: osservano, controllano, intervengono dalla strada. Non vegliano perché vegliare prevede di mantenere una distanza che non possono avere in mancanza di una soluzione sistemica. Si muovono dal basso, allo stesso livello degli abitanti, non dissimili, mai davvero uguali, tutti parte dello stesso meccanismo in cui l’unica via è assecondare le pressioni e le tensioni per evitare che esplodano. Questa negazione della possibilità di un ordine sociale ri-stabilito diventa per Ladj Ly anche la negazione di uno sguardo esterno agli avvenimenti (oggettivo si potrebbe dire): tutto è portato dentro all’azione continuamente e senza sosta, la narrazione è totalmente immersa, la macchina da presa segue, incalza, racconta, senza prendere mai posizione perché non ci sono in fondo né buoni né cattivi. Gli unici che provano a reagire riprendendosi quella distanza necessaria sono i bambini, i soli – non a caso - che riescono a osservare da “fuori”, dall’alto, dai tetti, attraverso un drone o dietro uno spioncino, i soli a poter provare – forse – a scardinare questo ordine non costituito.

La scelta di Ladj Ly diventa però anche il limite del film che asseconda la narrazione senza riuscire a dominarla fino in fondo, ritrovandosi a più riprese a svicolare, scegliendo la soluzione più semplice, senza osare davvero, senza, appunto, prendere per davvero una posizione.

CChiara Borroni, 15 maggio 2020, cineforum.it

 

I Miserabili, che del grande romanzo popolare di Victor Hugo usa l’ambientazione e una didascalia finale, ma soprattutto incarna le preoccupazioni profonde, non conta un momento di troppo, ma contiene al suo interno tre film ben distinti. Il primo, il prologo, è un film di finzione, nonostante la realtà delle immagini: la Francia multiculturale unita dal tifo per la nazionale di calcio in una gioiosa sintesi interetnica e interreligiosa. Poi c’è il secondo film: la vita di tutti i giorni, costruito come un teso film di genere, che intreccia la giornata dei tre agenti con quella del ‘sindaco’ e del suo braccio destro, impegnati a farsi strada come boss del quartiere, con gli affari dei boss locali dello spaccio, dei Fratelli Musulmani e del loro leader, Salah, schedato come pericoloso perché insieme al kebab dispensa il suo pensiero, e poi con i gitani del circo e con i tanti ragazzini dei palazzoni popolari, come Issa, che ne combina una dietro l’altra, o Buzz, che col suo drone spia le ragazze e ciò che non dovrebbe.

Un film multifocale, nel quale il punto di vista del nuovo arrivato non coincide con quello dei due veterani della pattuglia, e nel quale dialogano senza saperlo lo sguardo orizzontale della polizia, che cerca di farsi strada nel labirinto delle gang, come in un mercato all’aperto, e quello dell’alto del drone, che diviene accidentalmente testimonianza, coscienza sporca, arma. A riempire il vuoto intermedio tra i due livelli ci penserà il terzo film, quello più amaro, chiuso dentro il palazzo suburbano come dentro un cuore di tenebra, dislocato in verticale lungo scale e pianerottoli. Qui si gioca la guerra decisiva, tra generazioni. La guerra contro la rabbia istintiva, di chi è arrivato a sopportazione; la guerra che scardina le regole del sistema e il cui esito è ancora aperto, perché è un conflitto in atto, o forse ancora in potenza, ma pronto a deflagrare, alle porte della città e della società. Quest’ultimo è il film di denuncia, nascosto dietro il fumo dell’azione e dei lacrimogeni fatti in casa.

Ladj Ly (già co-regista del bellissimo documentario A voce alta) conosce da vicino ciò che racconta, e questo, insieme a un’ottima scrittura, lo esime dall’indulgere in qualsiasi introduzione o commento di sorta, permettendogli di affidare solo e soltanto alla tensione dell’azione la chiarezza del suo messaggio.

MMarianna Cappi, 16 maggio 2019, www.mymovies.it

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Tutti i colori di Milla

 

di      Shannon Murphy

 

Ispirato al fluviale romanzo di Victor Hugo.

Siamo, come in alcune scene del romanzo, a Montfermeil, periferia di Parigi. Oggi. Proteste. Il labirinto delle gang. La pattuglia con i tre poliziotti. Il ‘sindaco’, cioè il boss del quartiere. Un leoncino rubato! I fratelli musulmani. Un drone. Un palazzo, le scale, i pianerottoli La rabbia esplosiva.

Un film di denuncia condotto come un film d’azione. Senza commenti: la sola tensione e la chiarezza del messaggio.

Durata: 120 minuti.

 

 

 

 

Giovedì 4 novembre, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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