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Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 12 novembre 2009 – Scheda n. 5 (790)

 

 

 

Milk

 

Titolo originale: Milk.

 

Regia: Gus Van Sant.

 

Sceneggiatura: Dustin Lance. Fotografia: Harris Savides.

Montaggio: Elliot Graham. Scenografia: Charley Beal. Musica: Danny Elfman.

Interpreti: Sean Penn (Harvey Milk), Emile Hirsch (Cleve Jones),

James Franco (Scott Smith), Josh Brolin (Dan White), Diego Luna (Jack Lira),

Brandon Boyce (Jim Rivaldo), Kelvin Yu (Michael Wong), Lucas Grabeel (Danny Nicoletta),

Alison Pill (Anne Kronenberg), Victor Garber (il sindaco George Moscone).

Produzione: Focus Features. Distribuzione: Bim.

Durata: 128’. Origine: USA, 2008.

 

Gus Van Sant

 

Nato a Louisville, Kentucky (1952), Gus Van Sant si è laureato alla Rhode Island School of Design prima di trasferirsi a Hollywood. Poi si è stabilito a Portland, Oregon, dove oltre a fare il regista, ha coltivato altri suoi talenti per la pittura, la fotografia, la musica e la scrittura. Il suo esordio è del 1987 con Mala Noche. Poi sono venuti: Drugstore Cowboy (1989), con Matt Dillon; Belli e dannati (1991), con River Phoenix e Keanu Reeves; Cowgirls il nuovo sesso, con Uma Thurman (1993); Da morire, con Nicole Kidman (1995); Will Hunting, Genio ribelle, con Robin Williams, Ben Affleck e Matt Damon (1997). Quindi ha diretto Psycho, remake del film di Hitchcock che riproduce esattamente il film originale, inquadratura per inquadratura (1998), e Scoprendo Forrester (2000). È tornato alle sue radici indipendenti con Gerry (2002) e soprattutto con Elephant, Palma d'Oro e premio per la migliore regia a Cannes 2003. Del 2005 è Last Days; del 2007 è Paranoid Park. Musicista da sempre, militante di punta del mondo omosessuale statunitense, Van Sant ha anche diretto video musicali per molti artisti di successo come David Bowie, Elton John, i Red Hot Chili Peppers e gli Hanson.

 

La critica

 

Arrivato nelle sale americane a novembre, alla vigilia del Giorno del Ringraziamento, e nel mezzo delle quasi-rivolte che in California hanno accolto il passaggio della proposizione 8, che ha reso illegali i matrimoni gay, Milk è la cronaca di una morte annunciata, come Elephant, Last Days, Paranoid Park e Gerry. Però, rispetto alla narrativa sparsa, alla spazialità destabilizzante e al lirismo contemplativo degli ultimi quattro film di Gus Van Sant, questo biopic sul consigliere comunale Harvey Milk e la lotta per i diritti omosessuali anni settanta, è un lavoro strutturato, articolato in un impianto classico, meticolosamente ricostruito, in una sovrapposizione di fiction e documentario, quasi cauto. Un film 'adulto', che Van Sant sognava di fare da anni. E un film involontariamente, quanto inequivocabilmente, del momento anche al di là dell'attualità californiana. La 'serietà' del compito è chiara fin dall'inizio. Non solo Van Sant si è affidato alla consulenza di uno dei protagonisti della vicenda, Cleve Jones (collaboratore stretto di Milk): il film apre con le immagini di repertorio dell'attuale senatore Diane Feinstein (allora presidente del consiglio comunale della città) che annuncia la morte di Harvey Milk e del sindaco George Moscone, uccisi da un altro membro del municipio, e paladino dei 'valori di famiglia', il consigliere Dan White. È il 27 novembre 1978. A quel punto, lo stesso Milk (Sean Penn, in una delle sue interpretazioni più ricche per abbandono e sfumature) inizia con voce fuori campo il racconto della sua vita. Le parole sono quelle del testamento spirituale che aveva registrato con l'istruzione di renderlo pubblico 'solo nel caso fossi assassinato'. Stacco e siamo nella metropolitana di New York all'inizio della decade. Non c'è ancora la promessa di un martirio, nell'incontro tra l'analista di Wall Street segretamente gay, Harvey Milk, e Scott Smith (James Franco), il cherubino biondo che accetta di seguirlo a casa e sotto le lenzuola per festeggiarne il quarantesimo compleanno. All'insegna del 'cambiamento', i due amanti partono per San Francisco dove il negozio di fotografia che aprono nel Castro district diventa centro di una fiorente comunità omosessuale. Nonostante l'uso di immagini di repertorio che documentano gli scontri e i pestaggi della polizia, Van Sant immagina Castro come una sorta di allegra Frontiera, verso cui convergono centinaia di giovani pieni di energia. Un luogo in cui il sesso ha una dimensione ludica, adolescenziale (come sempre nei suoi film), prevalentemente monogama e il fantasma dell'Aids non aleggia ancora. Su questo sfondo, Milk scopre la sua vocazione di attivista e inizia un'instancabile (perse almeno quattro elezioni prima di diventare consigliere) scalata  al potere locale, in nome dei diritti civili gay. Entusiasmante sollevatore di masse, ma anche astuto e spericolato stratega politico, l'ebreo di Long Island sicuro che sarebbe morto prima dei cinquant'anni ignora la prudenza (e la pruderie) dell'establishment omosessuale della città in favore della lotta dichiarata, movimentista. I suoi primi alleati sono i sindacati, che conquista promettendo appoggio al boicottaggio della birra Coors, che sarà bandita dai bar gay della città. Neri, ebrei, anziani, hippie, poveri... le campagne di Milk hanno messaggi ad hoc per tutte le minoranze. Tra le sue battaglie più feroci quella contro la proposizione numero 6. Concepita sull'onda del successo nazionale della crociata repressivo/perbenista della pop singer Anita Bryan, la Prop 6 avrebbe radiato gli insegnanti gay dalle scuole della California. Diversamente dalla Prop 8, fu clamorosamente sconfitta. «Se passasse dovete lottare come dei dannati», mettere le strade a ferro e fuoco, aveva detto Milk ai suoi ragazzi - lui, primo gay dichiarato a ricoprire una carica pubblica, non poteva più permetterselo. È un invito destinato a echeggiare nelle vie di Los Angeles e San Francisco dove in questi giorni si protesta il bando alle nozze gay, anche se quando Gus Van Sant ha iniziato il suo film la proposizione 8 non esisteva ancora. Colpisce che Gus Van Sant abbia deciso di chiudere il suo film con le immagini dell'immensa veglia funebre al lume di candela che si riunì per l'addio a Harvey Milk, e non invece con le rivolte scoppiate alla notizia che il suo assassino se la sarebbe cavata con pochi anni di prigione (la difesa passò alla storia sostenendo che le facoltà mentali di White erano alterate dalla temibile junk-merendina Twinkie). Ma quando Van Sant ha cominciato a girare la sua pellicola, la vittoria di Barack Obama non era una certezza, anzi era un candidato improbabile, di minoranza e un movimentista. Come Harvey Milk. E, in effetti, Milk è un film 'responsabile', come il nuovo presidente degli States. «Bisogna dare alla gente speranza», sono le ultime parole del testamento spirituale che Sean Penn pronuncia davanti al microfono di un vecchio registratore. Il pensiero di Obama, trent'anni prima.

GGiulia D'Agnolo Vallan, Il Manifesto, 23 gennaio 2009

 

Tra i migliori registi in attività oggi, Gus Van Sant alterna film decisamente indipendenti con produzioni mainstream, più tradizionali e interpretate da star. Quel che è certo, è che non fa mai cose banali. Come in questo Milk, biografia dell'attivista gay 'nominata' all'Oscar (e prima ai Golden Globes), sia come miglior film sia per l'interpretazione (davvero notevole) di Sean Penn. Compiuti da poco i quarant'anni, Harvey Milk si trasferisce con il compagno Scott nel quartiere popolare di Castro, San Francisco, che sta diventando porto franco per gli omosessuali, all'epoca apertamente perseguitati, picchiati, additati al pubblico disprezzo come pericolosi pervertiti. Gradualmente, si scopre una tempra di combattente e un forte istinto politico, un carisma di eroe per caso che lo obbliga a farsi paladino dei diritti della comunità gay. Bocciato più volte alle elezioni non si tira indietro, ma ritenta fin quando, nel 1977, è eletto nel 'board of supervisors' (i consiglieri comunali) di Frisco, amministrata dal sindaco George Moscone. Da lì, promuove una battaglia civile per difendere i cittadini dai licenziamenti per orientamento sessuale; inoltre, deve parare i colpi dell'integralismo religioso rappresentato da Anita Bryant (una specie di Sarah Palin dell'epoca) e battersi contro un referendum statale che mira a cacciare dalle scuole gli insegnanti gay e chi li sostiene. Abile oratore, Milk affronta bene i dibattiti televisivi; ma soprattutto sa mobilitare le piazze, con l'aiuto di un gruppo di giovani militanti che ha convinto a sposare la causa. Anonimamente minacciato di morte, non sa che il vero pericolo viene da un collega, Dan White, altro consigliere eletto insieme a lui dietro la cui 'normalità' di padre e marito esemplare si cela la follia. Nei casi di biopic basati su vicende reali, è uso compiacersi se il regista non fa il santino del protagonista. In Milk, però, c'è parecchio di più. Van Sant immerge lo spettatore in un perfetto contesto d'epoca, mischiando la pellicola nuova a riprese di repertorio, con l'aggiunta di idee originali: come lo split-screen, il mosaico visivo che suddivide lo schermo in tanti piccoli schermi, a restituire il corrispondente visivo del 'passaparola'. Altro merito, quello di non enfatizzare o additare troppo gli elementi già 'forti' del film: come la trasformazione della politica in spettacolo, per la quale gli anni '70 furono decisivi, o una sorta di fatalismo drammatico implicito negli eventi (alcuni degli amanti di Milk si tolsero la vita). Saggiamente, il regista sceglie la via del dramma a freddo, mentre delega l'implicita essenza melodrammatica alle note di Tosca, opera molto amata dall'attivista. Quanto a Penn (ma ai Globes gli è stato preferito il Rourke di The Wrestler), si cala nel personaggio con l'intensità dolente degli adepti del metodo Actor's Studio, tirando fuori la parte femminile che è in lui, come in ciascun uomo. Lo contrasta bene Josh Brolin, che abbiamo appena visto nella pelle di George W. Bush.

RRoberto Nepoti, La Repubblica, 23 gennaio 2009

 

 

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